Capita a volte di scrivere una lettera a qualcuno.
La sera prima di addormentarti, decidi di scriverla
Il mattino dopo, tra una tazza di latte e i biscotti, pensi alle parole da buttare fuori.
Poi, dopo aver sgomberato il tavolo, prendi un foglio, quello che sembra il più bianco, una penna, la tua preferita, il tuo cuore, quello che senti battere, la tua mente, quella che percepisci a volte stanca, la tua mano, quella che ti segue come un’ombra, il desiderio misto a bisogno, quello che ti spinge a riempire il foglio.
Scrivi, nemmeno tu sai dove arriverai.
Scrivi anche se sai che non vuoi dire proprio quelle parole.
Scrivi anche se non vorresti mai fossero lette.
Un nome, un aggettivo, un verbo, un articolo, un pronome, una virgola, puntini sospensivi, ancora un nome, una sensazione, un altro aggettivo, ancora un verbo, un punto e virgola, puntini sospensivi, ancora una volta un nome.
Poi un punto.
E finalmente respiri.
Rileggi e fai una smorfia.
Posi la penna, che ormai è quasi finita, pieghi il foglio, che ormai non è più così bianco, metti una mano sul cuore, che sta battendo sempre più forte, sfiori la tua mente con i pensieri, e la senti più stanca di prima, guardi la tua mano, e capisci che è un po’ affaticata, sgomberi di nuovo il tavolo, percepisci il desiderio misto a bisogno, e comprendi che forse la sua spinta non è poi così forte.
Finalmente respiri, e ti accorgi che niente è più come prima.
L’impulsività può spingerti a fare azioni che la riflessività bloccherebbe.
E viceversa.
Prima sai che è così…senti di fare questo.
Dopo sai che è diverso…senti di fare quest’altro.
Susanna Tamaro scrive:
“Quando di fronte a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, fermati e aspetta.
Respira, aspetta e aspetta ancora.
Poi, quando senti parlare il tuo cuore,
ALZATI
e vai dove ti porta lui”.
Ad ognuno di noi credo sia capitata almeno una volta nella vita una cosa del genere.
Tutto questo, forse, c’insegna che non basta ascoltare il cuore, ma SAPERLO fare.
“Respira, aspetta e aspetta ancora”.
Hai rimesso la penna nell’astuccio, hai sentito il tuo cuore regolarizzarsi, hai percepito la mente in uno stato di calma, hai messo la tua mano in tasca, hai riempito il tavolo di altre novità, hai sentito quietarsi il desiderio misto a bisogno.
Infine, hai piegato il foglio e lo hai conservato in un cassetto insieme a tanti altri.
La via di mezzo tra l’impulsività e la riflessività sta nel saper ascoltare il cuore.
Non nella stanchezza della mente, non in una penna confidente, non nel desiderio impaziente, non nella mano compiacente.
Ma in un respiro paziente.
“Respira, aspetta e aspetta ancora”.
La sera prima di addormentarti, decidi di scriverla
Il mattino dopo, tra una tazza di latte e i biscotti, pensi alle parole da buttare fuori.
Poi, dopo aver sgomberato il tavolo, prendi un foglio, quello che sembra il più bianco, una penna, la tua preferita, il tuo cuore, quello che senti battere, la tua mente, quella che percepisci a volte stanca, la tua mano, quella che ti segue come un’ombra, il desiderio misto a bisogno, quello che ti spinge a riempire il foglio.
Scrivi, nemmeno tu sai dove arriverai.
Scrivi anche se sai che non vuoi dire proprio quelle parole.
Scrivi anche se non vorresti mai fossero lette.
Un nome, un aggettivo, un verbo, un articolo, un pronome, una virgola, puntini sospensivi, ancora un nome, una sensazione, un altro aggettivo, ancora un verbo, un punto e virgola, puntini sospensivi, ancora una volta un nome.
Poi un punto.
E finalmente respiri.
Rileggi e fai una smorfia.
Posi la penna, che ormai è quasi finita, pieghi il foglio, che ormai non è più così bianco, metti una mano sul cuore, che sta battendo sempre più forte, sfiori la tua mente con i pensieri, e la senti più stanca di prima, guardi la tua mano, e capisci che è un po’ affaticata, sgomberi di nuovo il tavolo, percepisci il desiderio misto a bisogno, e comprendi che forse la sua spinta non è poi così forte.
Finalmente respiri, e ti accorgi che niente è più come prima.
L’impulsività può spingerti a fare azioni che la riflessività bloccherebbe.
E viceversa.
Prima sai che è così…senti di fare questo.
Dopo sai che è diverso…senti di fare quest’altro.
Susanna Tamaro scrive:
“Quando di fronte a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, fermati e aspetta.
Respira, aspetta e aspetta ancora.
Poi, quando senti parlare il tuo cuore,
ALZATI
e vai dove ti porta lui”.
Ad ognuno di noi credo sia capitata almeno una volta nella vita una cosa del genere.
Tutto questo, forse, c’insegna che non basta ascoltare il cuore, ma SAPERLO fare.
“Respira, aspetta e aspetta ancora”.
Hai rimesso la penna nell’astuccio, hai sentito il tuo cuore regolarizzarsi, hai percepito la mente in uno stato di calma, hai messo la tua mano in tasca, hai riempito il tavolo di altre novità, hai sentito quietarsi il desiderio misto a bisogno.
Infine, hai piegato il foglio e lo hai conservato in un cassetto insieme a tanti altri.
La via di mezzo tra l’impulsività e la riflessività sta nel saper ascoltare il cuore.
Non nella stanchezza della mente, non in una penna confidente, non nel desiderio impaziente, non nella mano compiacente.
Ma in un respiro paziente.
“Respira, aspetta e aspetta ancora”.