E così, in punta di piedi, se n'è andato anche questo anno.
Se n'è andato come un gentiluomo che entra per la prima volta in una casa sconusciuta e che, al momento del saluto, lascia un omaggio portandosi addosso l'odore di quella dimora.
Con il cilindro in testa e un inchino inaspettato.
Se n'è andato con le sue domande senza risposta, con i suoi amori disperati e con quelli appena nati, con i traguardi raggiunti e quelli mai sognati, con le sue rincorse e i suoi momenti di attesa, con le sue allegrie e le sue disperazioni.
Se n'è andato per chi in lui è nato o è morto, per chi ha amato e per chi invece ha rinunciato a farlo, per chi si è ammalato e per chi è guarito, per chi ha sognato e per chi ha dimenticato cosa significhi farlo, per chi ha ucciso e per chi ha dato la vita, per chi ha rubato e per chi ha pagato con la propria vita la libertà degli altri, per chi ha cantato e per chi è rimasto in silenzio, per chi ha sbagliato e per chi ha deciso di non commettere più gli stessi errori, per chi ha ballato e per chi continua a farlo nel cuore senza usare le gambe, per chi ha creduto e per chi ha paura di farlo, per chi ha raccontato la vita e per chi si è rifiutato di ascoltare, per chi ha ascoltato e per chi invece ha solo sentito, per chi ha sopreso e per chi è rimasto sorpreso.
Se n'è andato, socchiudendo la porta, lasciandoci la scia di un profumo che sentiremo addosso per sempre.
"Ci sono cose che volano: gli uccelli, le ore, i calabroni. Ma di quelle non m'importa. E poi ci sono le cose che restano: il dolore, il profilo di un monte, l'eterno" - scriveva Emily Dickinson.
Io aggiungerei la speranza.
Di nascere ogni giorno, di amare ogni giorno, di guarire ogni giorno, di sognare ogni giorno, di crescere ogni giorno, di ringraziare ogni giorno, di dare la vita ogni giorno, di cantare ogni giorno, di dare la libertà ogni giorno, di ballare ogni giorno, di raccontare ogni giorno, di ascoltare ogni giorno, di soprendere ogni giorno.
La speranza che una ragazzina di 15 anni riposi finalmente in pace e che un'altra di 13 possa, felice, essere riportata a casa.
La speranza che se anche la terra trema, l'uomo sia capace di costruire sicure fondamenta e che se è invece il cuore a tremare, sia capace di non vederlo distruggere in macerie.
La speranza di una cultura che non deve morire e di una bellezza che non può scomparire.
La speranza di un viaggio sicuro, che nonostante le tempeste, sappia condurre a destinazione.
La speranza di una realtà che vive e non di un reality che appare.
La speranza di custodire sempre la speranza di poter cambiare.
E allora auguratelo davvero, questo nuovo anno.
Ma che queste due parole non siano pronunciate sillabando un'abitudine, ma credendoci davvero.
Come se il vostro "buon anno" sia un portafortuna per chi lo riceve, un amuleto che non dimenticheranno mai di portare con loro e che, se anche lo facessero, tornerebbero indietro a riprenderselo, come fa una persona che vive da sola con le chiavi di casa.
Perché un augurio vuol dire: io spero il meglio per te. E ci credo davvero.
Abbiamo bisogno di sapere che nel mondo ci sia qualcuno, almeno uno, che creda in noi.
Allora ditelo "buon anno."
Gridatelo, sussuratelo, scrivetelo, digitatelo, disegnatelo, ballatelo, cantatelo, gesticolatelo, regalatelo.
Ma dettatelo con il cuore, affinché possa essere davvero un nuovo inizio.
Da qualsiasi prospettiva voi siate, lo sapete, "non si vede bene che con il cuore."
Ecco perché mi viene voglia di sperare.
Perché si comincia sempre dal cuore.