La matematica non è mai stata il mio forte...ma un po' di basi, qualcuno ha fatto in modo che io le avessi.
A scuola mi hanno insegnato che i numeri primi sono divisibili soltanto per se stessi e che quelli non divisibili per se stessi, si chiamano numeri composti.
Quando qualche anno fa uscì un romanzo, diventato best seller e vincitore di quasi tutti i premi letterari possibili e immaginabili (in Italia), mi sono chiesta: che cosa avrà mai questo romanzo con un titolo così ambiguo e che tanto mi ricorda i banchi di scuola?
E' bastato leggerlo per scoprirlo, accorgendomi, pagina dopo pagina, di anelare a qualcosa che non arrivava mai.
E che non è mai arrivata.
Nelle prime pagine, Alice e Mattia sono due bambini.
E sono soli: con i loro traumi, con le loro difficoltà nella crescita, con le loro famiglie invisibili.
Poi crescono e diventano adolescenti.
Sempre soli ad affrontare l'età più importante e pregnante di sfide.
Si cercano, ma non si trovano. Mai.
Nelle ultime pagine, Alice e Mattia sono due adulti.
E sono sempre soli: con un dolore dell'anima schivo e prepotente.
Ricordo di aver alzato gli occhi al cielo appena letta l'ultima pagina, sentendo dentro una profonda mancanza di tutto.
Poi ho visto il film omonimo, qualche settimana fa.
E non c'è stato un solo secondo di respiro in quelle scene, uno solo in grado di trasmettermi un briciolo di illusione.
Dire speranza è dire troppo.
La storia della solitudine dei numeri primi è, in parte, il quadro di una realtà che esiste.
Ma siamo davvero così soli?
E se il mondo là fuori ci distrugge, davvero siamo così soli anche dentro di noi tanto da non essere capaci di trovare un modo, anche il più semplice ed elementare, per aggrapparci a qualcosa?
"Era rimasto impassibile e in silenzio ad aspettare che fosse troppo tardi".
Possibile che ci sia tanta solitudine anche nella nostra anima da non permetterci di alzare la voce e farci sentire vivi?
E se anche fosse troppo tardi, perché non avere fiducia in un qualcosa di più grande?
No, non c'è neanche quella.
Alice è malata di anoressia.
Solo gesti meccanici, nella solitudine.
Alice non mangia. Alice tagliuzza il cibo e lo fa a poltiglia nascondendolo in un tovagliolo.
Alice getta un pomodoro nel water mentre è a cena con l'uomo che sposerà. E che non ama.
Dov'è l'anima di una ragazza malata di anoressia in quelle pagine e, ancor di più, in quelle scene?
Non c'è. E fa male quest'assenza.
Non si può raccontare l'anoressia in questo modo. E' uno schiaffo che brucia.
L'interiorità è confinata solo e soltanto alla solitudine. Per il resto, non esiste.
Che sia di un dolore, di un trauma, di una malattia, di una bugia, di una mancanza.
Non esiste.
Eppure...Alice e Mattia sono due esseri umani.
Con un corpo ed un'anima. Come tutti.
Perché ci fa tanta paura raccontare l'anima nelle sue infinite sfaccettature e ci limitiamo a puntare il dito sempre e solo alle sue mancanze?
Non è per questo che ci svegliamo ogni mattina.
E per quanto questo mondo possa essere troppe volte ingrato, per quanto i sogni spesso s'infrangano prima che tu te ne possa rendere conto, per quanto il dolore ti entri dentro diventando parte di te, di qualsiasi pasta esso sia fatto...non è mai troppo tardi.
Nessuno è mai lontano abbastanza per non toccarsi.
Nessuno è realmente un numero primo, divisibile solo per se stesso.
Se fosse solo così, la nostra vita sarebbe inutile e vana.
E non lo è.