Caro Gesù,
la Tua nascita ha scritto la pagina più bella della nostra storia.
A volte la sfogliamo senza leggerla, altre la maltrattiamo con spudorate orecchie, altre ancora facciamo finta che non esista…e passiamo oltre.
Capitolo dopo capitolo, inventiamo episodi, personaggi, trame, intrighi: specchi dei giorni della nostra vita, nella cui quotidianità, spesso, manchi Tu.
Proprio Tu, che “ci hai nascosto all’ombra del tuo abbraccio”, continui ad essere una presenza spesso ingombrante, persino nelle aule di una scuola.
La libertà dell’uomo si ostina a sottrarsi a questo abbraccio, e ogni Tuo segno, dal principio alla fine, sembra ricadere nel vuoto: il Tuo pianto in una mangiatoia e il Tuo urlo sulla croce.
E’ vero, fatichiamo ad ascoltare persino i pianti e le urla, e spesso i nostri dialoghi diventano monologhi, perché ciascuno è convinto di essere il solo custode della verità, e l’altro è solo il personaggio ultimo della storia, quello di cui si può benissimo fare a meno.
E poi ci lamentiamo della solitudine, dell’egoismo, della mancanza di fraternità.
Il presepe è pieno, Gesù: ci sono pastori, angeli, pecorelle, il cielo blu e il fiume con il ruscello.
C’è persino un gallo che canta.
E poi un uomo, una donna, un bambino.
La terra ne è piena, e spesso ci accorgiamo di loro solo quando vengono sbattuti sulle prime pagine dei giornali: un uomo che si toglie la vita anche se dicono fosse una persona “normale”, una donna che viene maltrattata e violentata, un bambino che viene abusato e neanche creduto…perché tanto i bambini s’inventano tutto.
Gianni Rodari scriveva che “c’è posto per tutti in quella casa, dove la pace scalda più del sole”, eppure non sappiamo ritrovare la strada o non sappiamo riconoscerTi mentre passeggi insieme a noi.
Quella pagina è spesso dimenticata Gesù, forse anche scarabocchiata di nuovi ideali e miti che non riescono a sopravvivere senza avere una loro copia nascosta da qualche parte.
Forse persino tra le orecchie della Tua pagina.
Non Ti chiedo niente, caro Gesù, è tempo che ciascuno di noi impari a non limitarsi a chiedere ad un bambino, ma a saperlo ascoltare.
Per questo Natale voglio ascoltarTi.
Ascoltare il Tuo pianto e il Tuo urlo, ascoltare la quotidianità del mattino di un nuovo giorno e della stanchezza della sera, ascoltare chi abbiamo solo sentito, ascoltare le confidenze di un amico senza giudicarlo, ascoltare la risposta di un rifiuto senza fare del male, ascoltare chi ci dice di stare bene quando invece è solo una bugia, ascoltare chi dimentichiamo di ricordare.
Ascoltare noi stessi, senza chiuderci nelle nostre verità.
E allora BUON NATALE soprattutto a Te, bambino.
Perché tutti i bambini del mondo abbiano sempre e solo braccia che sappiano proteggerli ed accarezzarli, come Tua madre al freddo di una mangiatoia, ma soprattutto, in questa pagina della nostra storia piena di rimandi e di cancellature, mani capaci di scrivere le troppe verità nascoste ed orecchie in grado di ascoltarli, senza dimenticarsi di guardarli negli occhi.
BUON NATALE Liam, un bambino speciale, buon Natale perchè tu possa essere ascoltato, perchè tu possa essere capito ed amato, perchè tu possa sorridere come un bambino della tua età dovrebbe fare.
E BUON NATALE anche a te che leggi queste mie parole, perchè tu possa sempre essere capace di ascoltare, soprattutto te stesso.
UN A L L E G R O N A T A L E DA A L L E G RA
"Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera, se prima non sente dal labbro nostro la voce; poi pieno di gioia riparte conoscendo più cose." (Odissea, libro XII, vv.186-188)
mercoledì 23 dicembre 2009
venerdì 6 novembre 2009
Non vi dico "addio" ma "ciao"...
Così come tutto ha un inizio, tutto ha una fine.
Prendo a prestito una frase che scrisse una ragazza di 14 anni raccontando un’esperienza difficile: “non ti dico addio, ma ciao”.
E’ quello che scrivo qui, a tutti voi, uno ad uno. Unito ad un grazie particolare.
Allegra ha deciso di lasciare il suo “Canto delle sirene”, perché ne ha bisogno.
Sono stati tre anni intensi, che mi hanno arricchito profondamente, che mi hanno fatto amare un mondo che pur essendo virtuale, ha regalato a queste pagine un so che di reale che riusciva a far nascere sempre nuovi spunti e nuove idee.
Vi dico grazie uno ad uno: Federico, Caterina, Cavaliere Oscuro, Allegro, SerenoPocoNuvoloso, Lorenza, 1Sorriso, Don Mario, Chiara, Giacomo, L. C. e P., tutti gli anonimi e tutti quelli che hanno letto le mie pagine in silenzio senza commentare.
E se ho dimenticato qualcuno, chiedo perdono.
Allegra giovedì 12 novembre si laurea. Sarà un giorno importante che le aprirà l’inizio di una scelta di vita.
Ma non chiude il blog per questo.
Alessandro Baricco scriveva:
Prendo a prestito una frase che scrisse una ragazza di 14 anni raccontando un’esperienza difficile: “non ti dico addio, ma ciao”.
E’ quello che scrivo qui, a tutti voi, uno ad uno. Unito ad un grazie particolare.
Allegra ha deciso di lasciare il suo “Canto delle sirene”, perché ne ha bisogno.
Sono stati tre anni intensi, che mi hanno arricchito profondamente, che mi hanno fatto amare un mondo che pur essendo virtuale, ha regalato a queste pagine un so che di reale che riusciva a far nascere sempre nuovi spunti e nuove idee.
Vi dico grazie uno ad uno: Federico, Caterina, Cavaliere Oscuro, Allegro, SerenoPocoNuvoloso, Lorenza, 1Sorriso, Don Mario, Chiara, Giacomo, L. C. e P., tutti gli anonimi e tutti quelli che hanno letto le mie pagine in silenzio senza commentare.
E se ho dimenticato qualcuno, chiedo perdono.
Allegra giovedì 12 novembre si laurea. Sarà un giorno importante che le aprirà l’inizio di una scelta di vita.
Ma non chiude il blog per questo.
Alessandro Baricco scriveva:
“Accadono cose nella vita che sono come domande. Il tempo passa e poi la vita risponde.”
Beh…è vero.
Non cancello il blog, ma lo lascio aperto, per dare la possibilità di leggere a chiunque si trovi a passare, e a voi, se volete, di rileggere ciò di cui avrete bisogno nei momenti della vostra vita.
Questo post non ha commenti, ma è solo il mio saluto a tutti voi.
Allegra vi dice “ciao” non “addio”, sperando di avervi regalato un po’ di sé e un po’ del suo amore verso ciò a cui tiene di più: Dio, i bambini, la scrittura, l’essere sé stessi, l’amore.
E chissà, forse un giorno ritornerà a scrivere su queste pagine.
Ma non sarà troppo vicino.
Un ciao allegro ad ognuno di voi…e ad uno ad uno vi dico GRAZIE per aver dato voce al mio canto.
Beh…è vero.
Non cancello il blog, ma lo lascio aperto, per dare la possibilità di leggere a chiunque si trovi a passare, e a voi, se volete, di rileggere ciò di cui avrete bisogno nei momenti della vostra vita.
Questo post non ha commenti, ma è solo il mio saluto a tutti voi.
Allegra vi dice “ciao” non “addio”, sperando di avervi regalato un po’ di sé e un po’ del suo amore verso ciò a cui tiene di più: Dio, i bambini, la scrittura, l’essere sé stessi, l’amore.
E chissà, forse un giorno ritornerà a scrivere su queste pagine.
Ma non sarà troppo vicino.
Un ciao allegro ad ognuno di voi…e ad uno ad uno vi dico GRAZIE per aver dato voce al mio canto.
lunedì 2 novembre 2009
"Anche io ero una spiga che cresceva nei campi"
Cara Alda,
non eri tu quella che diceva: non sono felice della mia morte, ma me ne dovrò andare (Cara Federica)?
Sì, eri proprio tu.
La stessa di cui m’innamorai in un giorno di inverno quando, insieme a mia madre, uscii per fare compere.
Lei voleva comprarmi una maglietta nuova…ma io volevo un libro.
E’ sempre stato così: ho sempre preferito un libro ad un vestito nuovo.
Così quel giorno comprai “Clinica dell’abbandono”, innamorandomi perdutamente della tua poesia.
In tanti versi mi riconoscevo, tanti versi ho amato e altrettanti ho odiato.
Ma c’era sempre qualcosa in quelle pagine che riusciva a trasmettermi voglia, disperazione, tormento, amore infinito.
Sì…amore infinito impregnato di dolore. Quel dolore anch’esso amato, perché figlio dello stesso amore.
“Sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida” (La volpe e il sipario) – , un modo per esorcizzare il dolore, la presenza\assenza di un bisogno, il contatto con i propri sentimenti quasi sempre in guerra tra di loro.
Spesso ciò che muove una mano su un foglio bianco, è l’assoluto bisogno di condividere un dolore, di guardarlo in faccia e di rivestirlo di parole.
Così diventa un dolore cambiato, un dolore condiviso, un dolore descritto e ripetuto, un dolore compreso e forse, assolto.
C’è un passo, scritto da te, che ricordo di aver segnato su un foglio appeso alla parete della mia vecchia stanza “Il potere dei poeti è molto esiguo: un foglio bianco, molta solitudine, qualche strappo al cuore, e una guerra o due”.
Non ricordo quando lo scrissi né quando lo cancellai, ma vi rimase il tempo necessario per scriverlo nel cuore e non dimenticarlo più.
Ho cercato d’insegnare a dei ragazzi che scrivere può far bene, non so se loro lo hanno imparato, ma io spero di poterlo fare ancora.
Con le tue poesie, tu mi hai insegnato quanto scrivere possa riuscire ad esorcizzare il dolore, senza dimenticarlo… e ti ringrazio per questo.
Grazie soprattutto per aver scritto che “le più belle poesie si scrivono davanti ad un altare vuoto”(La terra santa), perché possiamo sempre ricordare che scrivere permette anche di descrivere un vuoto che dobbiamo essere in grado di riempire a partire da noi stessi e che le parole più belle nascono quasi sempre da quel dolore che impariamo ad amare e che poi ci fa crescere e diventare “grandi” pur rimanendo piccoli.
Come te..."una spiga che cresceva nei campi".
non eri tu quella che diceva: non sono felice della mia morte, ma me ne dovrò andare (Cara Federica)?
Sì, eri proprio tu.
La stessa di cui m’innamorai in un giorno di inverno quando, insieme a mia madre, uscii per fare compere.
Lei voleva comprarmi una maglietta nuova…ma io volevo un libro.
E’ sempre stato così: ho sempre preferito un libro ad un vestito nuovo.
Così quel giorno comprai “Clinica dell’abbandono”, innamorandomi perdutamente della tua poesia.
In tanti versi mi riconoscevo, tanti versi ho amato e altrettanti ho odiato.
Ma c’era sempre qualcosa in quelle pagine che riusciva a trasmettermi voglia, disperazione, tormento, amore infinito.
Sì…amore infinito impregnato di dolore. Quel dolore anch’esso amato, perché figlio dello stesso amore.
“Sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida” (La volpe e il sipario) – , un modo per esorcizzare il dolore, la presenza\assenza di un bisogno, il contatto con i propri sentimenti quasi sempre in guerra tra di loro.
Spesso ciò che muove una mano su un foglio bianco, è l’assoluto bisogno di condividere un dolore, di guardarlo in faccia e di rivestirlo di parole.
Così diventa un dolore cambiato, un dolore condiviso, un dolore descritto e ripetuto, un dolore compreso e forse, assolto.
C’è un passo, scritto da te, che ricordo di aver segnato su un foglio appeso alla parete della mia vecchia stanza “Il potere dei poeti è molto esiguo: un foglio bianco, molta solitudine, qualche strappo al cuore, e una guerra o due”.
Non ricordo quando lo scrissi né quando lo cancellai, ma vi rimase il tempo necessario per scriverlo nel cuore e non dimenticarlo più.
Ho cercato d’insegnare a dei ragazzi che scrivere può far bene, non so se loro lo hanno imparato, ma io spero di poterlo fare ancora.
Con le tue poesie, tu mi hai insegnato quanto scrivere possa riuscire ad esorcizzare il dolore, senza dimenticarlo… e ti ringrazio per questo.
Grazie soprattutto per aver scritto che “le più belle poesie si scrivono davanti ad un altare vuoto”(La terra santa), perché possiamo sempre ricordare che scrivere permette anche di descrivere un vuoto che dobbiamo essere in grado di riempire a partire da noi stessi e che le parole più belle nascono quasi sempre da quel dolore che impariamo ad amare e che poi ci fa crescere e diventare “grandi” pur rimanendo piccoli.
Come te..."una spiga che cresceva nei campi".
domenica 1 novembre 2009
Tutto qua?
Ieri sera Allegra ha ascoltato, più che parlato.
La chiacchierata di ieri sera le ha fatto venire in mente una scena di un bel film.
La chiacchierata di ieri sera le ha fatto venire in mente una scena di un bel film.
"Tutto qua?" - lei.
"Abbi una felicità delirante...o almeno non respingerla." - lui.
"Va bene, vedrò di fare il possibile"- lei.
"Lo so che ti suona smielato, ma l'amore è passione...qualcuno senza cui non vivi.Io ti dico: buttati a capofitto, ascolta il tuo cuore...io non sento il tuo cuore. Perchè la verità è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, bhe...equivale a non vivere.Ma devi tentare, perchè se non hai tentato non hai vissuto" - lui.
"D'accordo. Dimmelo di nuovo, stavolta in breve..." - lei.
"Non respingere"- lui.
"Abbi una felicità delirante...o almeno non respingerla." - lui.
"Va bene, vedrò di fare il possibile"- lei.
"Lo so che ti suona smielato, ma l'amore è passione...qualcuno senza cui non vivi.Io ti dico: buttati a capofitto, ascolta il tuo cuore...io non sento il tuo cuore. Perchè la verità è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, bhe...equivale a non vivere.Ma devi tentare, perchè se non hai tentato non hai vissuto" - lui.
"D'accordo. Dimmelo di nuovo, stavolta in breve..." - lei.
"Non respingere"- lui.
Vi presento Joe Black
Vi invito a riflettere sulla vostra "felicità delirante". Che cos'è?
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riflessioni,
sabato sera
venerdì 30 ottobre 2009
Se è necessario...è necessario!
"Qualcosa in me sta traslocando - sì, non so spiegarlo in altro modo, ho la strampalata sensazione che un modulo interno vada a prendere il posto di un altro. Non vi capita mai? Si tratta di avvertire riorganizzazioni interiori di cui non riuscireste affatto a descrivere la natura, è una cosa mentale e spaziale allo stesso tempo, come un trasloco."
M.Barbery, L'eleganza del riccio - Edizioni e\0 (pag.167)
Allegra deve NECESSARIAMENTE mettere in ordine. Pensate bene se conviene farlo anche a voi...
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trasloco
domenica 25 ottobre 2009
Repetita "non" iuvant
Di solito quando sogno, il mattino dopo scrivo ciò che ho sognato su un piccolo quaderno verde.
Sono anni ormai che lo faccio.
Stanotte ho fatto un sogno particolare. Non ve lo racconto, ma vi racconto la riflessione che ne è venuta fuori anche alla luce di quanto succede, spesso, nelle nostre vite.
Esiste un meccanismo chiamato “coazione a ripetere”.
Il buon vecchio Freud nel 1920, descrive un meccanismo inconscio di ripetizione delle stesse esperienze vissute, anche quando queste si mostrano ai nostri occhi in veste diversa, con altri personaggi e in altri contesti.
Per dirla in breve, una persona che in un momento della sua vita si trova a vivere una situazione in cui deve scegliere come comportarsi, a cui deve trovare una soluzione, si comporta esattamente ed inconsapevolmente nello stesso modo in cui si è sempre comportata.
Alla base di tutto, sta il principio secondo il quale una persona cerca di risolvere un compito irrisolto che affonda le sue radici nel passato, mettendo in atto ripetutamente le stesse azioni per superarlo, nel momento in cui si trova di fronte a situazioni simili, non rendendosi conto che mettendo in atto le stesse azioni porta la stessa situazione allo stesso “tragico finale”.
Quante volte ci è successo di dire: ma capitano tutte a me? Ma perché io incontro sempre le stesse persone? Ma perché si comportano con me sempre allo stesso modo? Ma perché?
Ora…non credo che l’essere umano sia uno stupido che si va a cacciare sempre nelle solite situazioni accompagnandole sempre verso la solita fine.
Il cervellotico Sigmund non ha mai smesso di sottolineare come l’uomo abbia una terribile paura di ciò che non conosce e di come si “accontenti” di crogiolarsi e di tenersi stretto quello che conosce, anche se doloroso.
Perché è ciò che non conosciamo che ci fa più paura.
Il buio ci fa più paura della luce.
Sono anni ormai che lo faccio.
Stanotte ho fatto un sogno particolare. Non ve lo racconto, ma vi racconto la riflessione che ne è venuta fuori anche alla luce di quanto succede, spesso, nelle nostre vite.
Esiste un meccanismo chiamato “coazione a ripetere”.
Il buon vecchio Freud nel 1920, descrive un meccanismo inconscio di ripetizione delle stesse esperienze vissute, anche quando queste si mostrano ai nostri occhi in veste diversa, con altri personaggi e in altri contesti.
Per dirla in breve, una persona che in un momento della sua vita si trova a vivere una situazione in cui deve scegliere come comportarsi, a cui deve trovare una soluzione, si comporta esattamente ed inconsapevolmente nello stesso modo in cui si è sempre comportata.
Alla base di tutto, sta il principio secondo il quale una persona cerca di risolvere un compito irrisolto che affonda le sue radici nel passato, mettendo in atto ripetutamente le stesse azioni per superarlo, nel momento in cui si trova di fronte a situazioni simili, non rendendosi conto che mettendo in atto le stesse azioni porta la stessa situazione allo stesso “tragico finale”.
Quante volte ci è successo di dire: ma capitano tutte a me? Ma perché io incontro sempre le stesse persone? Ma perché si comportano con me sempre allo stesso modo? Ma perché?
Ora…non credo che l’essere umano sia uno stupido che si va a cacciare sempre nelle solite situazioni accompagnandole sempre verso la solita fine.
Il cervellotico Sigmund non ha mai smesso di sottolineare come l’uomo abbia una terribile paura di ciò che non conosce e di come si “accontenti” di crogiolarsi e di tenersi stretto quello che conosce, anche se doloroso.
Perché è ciò che non conosciamo che ci fa più paura.
Il buio ci fa più paura della luce.
E forse..."non sono loro che si comportano sempre allo stesso modo con me"...sono io che inconsapevolmente ricreo sempre le stesse situazioni.
Parecchi anni fa ricevetti in regalo un libro. Spesso mi capita di sottolineare le frasi più significative, un po’ per fissarle nel mio cuore e nel mio cervello e un po’ per ricordare quali libri letti mi siano rimasti davvero dentro.
“Un guerriero della luce sa che alcuni momenti si ripetono. Spesso si ritrova di fronte a problemi che ha già affrontato. Allora si sente incapace di progredire nella vita, giacchè i momenti difficili si sono ripresentati.
‘Questo l’ho già passato’-si lamenta con il suo cuore.
‘E’ vero, lo hai vissuto’- risponde il cuore – ‘ma non l’hai mai superato’.
Il guerriero allora comprende che il ripetersi dell’esperienza ha un’unica finalità: insegnargli quello che non vuole apprendere.”
Manuale del guerriero della luce – Paulo Coelho
Lo hai vissuto, ma non lo hai mai superato.
Penso che la verità stia tutta qui.
E penso che ognuno di noi ogni tanto dovrebbe fermarsi a riflettere.
Non è una questione psicologica in termini tecnici…ma esistenziale in termini quotidiani.
Ogni giorno, ogni persona che incontriamo nella nostra vita, ogni nostra azione…non passano.
Ma restano…anche se “passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31).
Non dovremmo pensare solo al domani, perché è l’oggi che lo lega.
Non permettiamo che la ripetizione dei nostri errori lo rovini.
Per noi e per chi ci sta accanto.
Parecchi anni fa ricevetti in regalo un libro. Spesso mi capita di sottolineare le frasi più significative, un po’ per fissarle nel mio cuore e nel mio cervello e un po’ per ricordare quali libri letti mi siano rimasti davvero dentro.
“Un guerriero della luce sa che alcuni momenti si ripetono. Spesso si ritrova di fronte a problemi che ha già affrontato. Allora si sente incapace di progredire nella vita, giacchè i momenti difficili si sono ripresentati.
‘Questo l’ho già passato’-si lamenta con il suo cuore.
‘E’ vero, lo hai vissuto’- risponde il cuore – ‘ma non l’hai mai superato’.
Il guerriero allora comprende che il ripetersi dell’esperienza ha un’unica finalità: insegnargli quello che non vuole apprendere.”
Manuale del guerriero della luce – Paulo Coelho
Lo hai vissuto, ma non lo hai mai superato.
Penso che la verità stia tutta qui.
E penso che ognuno di noi ogni tanto dovrebbe fermarsi a riflettere.
Non è una questione psicologica in termini tecnici…ma esistenziale in termini quotidiani.
Ogni giorno, ogni persona che incontriamo nella nostra vita, ogni nostra azione…non passano.
Ma restano…anche se “passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31).
Non dovremmo pensare solo al domani, perché è l’oggi che lo lega.
Non permettiamo che la ripetizione dei nostri errori lo rovini.
Per noi e per chi ci sta accanto.
Qualcuno, da lassù, vuole solo la nostra felicità, che nasce da una sana verità, non da una verità scritta dentro ad una bugia.
Lo hai vissuto, ma non l’hai superato.
Credici. Almeno una volta.
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lunedì 19 ottobre 2009
Le bugie che la paura racconta alla verità...
“Ho 60 anni, sono sposata da 32 anni, ho tre figli grandi, tutti sistemati.
Mio marito lavora tutto il giorno, ha sempre lavorato.
Io invece sono sempre stata in casa, a prendermi cura della famiglia.
Ora che passo gran parte delle mie giornate da sola, sento che manca qualcosa.
Ma è troppo tardi per inventarmi la vita.”
“Ho 19 anni. Ho passato quattro anni della mia vita con un ragazzo.
Poi lui mi ha lasciato per un’altra.
Vorrei ricominciare ad uscire con gli amici, che in questi anni ho abbandonato.
Vorrei ricominciare a fare sport, visto che non avevo mai tempo perché c’era sempre lui a riempirmi le giornate.
Vorrei innamorarmi di nuovo, ma non esiste uno come lui.”
“Ho 30 anni. Mi sono innamorato una volta sola nella vita.
E’ stato parecchio tempo fa.
Ho sofferto molto. L’amore mi ha ferito come io, allora, ho ferito la mia vita.
Non voglio più amare, ma solo voler bene indistintamente a chi circonda la mia esistenza.”
“Ho 23 anni. Faccio una facoltà che non mi piace.
Non l’ho scelta io. Mio padre l’ha fatto per me.
Studio controvoglia. Vivo la vita così come viene.
Volevo studiare lettere, ma lotto ogni giorno con l’economia.
Ormai è andata così”.
“E’ troppo tardi per inventarmi la vita”.
“Non esiste uno come lui”.
“Non voglio più amare”.
“Ormai è andata così”.
Le bugie che raccontiamo a noi stessi sono quelle che difficilmente si svelano.
Sono quelle che noi scambiamo per verità.
E le raccontiamo, a noi stessi e agli altri, fermamente convinti di essere nel vero.
E non ci accorgiamo di essere in una prigione che fingiamo di chiamare libertà.
Ma forse…"non è troppo tardi”.
Forse…"esiste uno diverso da lui in grado di starmi accanto”.
Forse…"voglio e posso ancora amare qualcuno”.
Forse…"può andare in modo diverso”.
LA VERITA' VI FARA' LIBERI (Gv 8,32)
Raccontiamocela più spesso…
Mio marito lavora tutto il giorno, ha sempre lavorato.
Io invece sono sempre stata in casa, a prendermi cura della famiglia.
Ora che passo gran parte delle mie giornate da sola, sento che manca qualcosa.
Ma è troppo tardi per inventarmi la vita.”
“Ho 19 anni. Ho passato quattro anni della mia vita con un ragazzo.
Poi lui mi ha lasciato per un’altra.
Vorrei ricominciare ad uscire con gli amici, che in questi anni ho abbandonato.
Vorrei ricominciare a fare sport, visto che non avevo mai tempo perché c’era sempre lui a riempirmi le giornate.
Vorrei innamorarmi di nuovo, ma non esiste uno come lui.”
“Ho 30 anni. Mi sono innamorato una volta sola nella vita.
E’ stato parecchio tempo fa.
Ho sofferto molto. L’amore mi ha ferito come io, allora, ho ferito la mia vita.
Non voglio più amare, ma solo voler bene indistintamente a chi circonda la mia esistenza.”
“Ho 23 anni. Faccio una facoltà che non mi piace.
Non l’ho scelta io. Mio padre l’ha fatto per me.
Studio controvoglia. Vivo la vita così come viene.
Volevo studiare lettere, ma lotto ogni giorno con l’economia.
Ormai è andata così”.
“E’ troppo tardi per inventarmi la vita”.
“Non esiste uno come lui”.
“Non voglio più amare”.
“Ormai è andata così”.
Le bugie che raccontiamo a noi stessi sono quelle che difficilmente si svelano.
Sono quelle che noi scambiamo per verità.
E le raccontiamo, a noi stessi e agli altri, fermamente convinti di essere nel vero.
E non ci accorgiamo di essere in una prigione che fingiamo di chiamare libertà.
Ma forse…"non è troppo tardi”.
Forse…"esiste uno diverso da lui in grado di starmi accanto”.
Forse…"voglio e posso ancora amare qualcuno”.
Forse…"può andare in modo diverso”.
LA VERITA' VI FARA' LIBERI (Gv 8,32)
Raccontiamocela più spesso…
mercoledì 14 ottobre 2009
Vietato l'accesso!
Durante un incontro del mio seminario di scrittura espressiva, ho chiesto ai ragazzi di strappare un foglio dal loro quaderno(sì ho sottolineato proprio “strappare” tanto da lasciare il segno) , di scrivere su quel foglio il passo di un libro, il verso di una poesia, il pezzo di un testo di una canzone in grado di descrivere al meglio loro stessi e poi di riporre il foglio piegato in una scatola.
Poi io pescavo ad uno ad uno un foglio e lo leggevo al gruppo, dal quale ogni volta nasceva una discussione sul senso e sul significato di ogni passo o verso.
Alcune parole mi sono rimaste particolarmente impresse, tanto che, tornata a casa, le ho riscritte e rilette.
Oggi le conosco senza bisogno di leggerle, come le parole di una poesia imparata da piccola.
Chissà da quanto tempo il cuore di tante persone ne ha memoria.
Memoria di vita vissuta. Non di letture ripetute.
Un ragazzo o una ragazza scrisse:
“Ho coltivato nel mio spirito un giardino di rose, l’ho nascosto dentro una scorza dura. Fuori ho messo un cartello con scritto: vietato l’ingresso ai cattivi”.
Giovanni Allevi
Quel foglio strappato divenne metafora di un’anima strappata.
Dopo la lettura nessuno parlò. Aspettai, ma poi quel silenzio impose il coraggio, da parte mia, di guardarli negli occhi e di domandare e domandarmi, cosa possa spingere a coltivare un giardino di rose, a nasconderlo dentro ad una scorza dura e a vietare l’ingresso ai cattivi.
La paura.
La non voglia di soffrire.
La certezza incerta di vivere coccolati dalla “scorza dura”.
Capita a tutti, credo, di nascondersi.
Capita a tutti, credo, di avere paura.
Capita a tutti, credo, di vietare l’ingresso ai cattivi.
Chi sono i cattivi?
Non sono forse coloro di cui abbiamo paura?
Non sono forse coloro che assomigliano a chi ci ha fatto male?
Non sono forse coloro che hanno a loro volta paura e che con la loro paura ci fanno male?
Uno strappo rimane.
Perché abbiamo bisogno di ricordare per poter elaborare e poi magari dimenticare.
La scatola è piena di versi, di passi di libri e di pezzi di canzoni.
In ogni strappo c’è una vita che si riconosce, uno sguardo che si perde, un sorriso che non si dimentica.
Un’anima che non si arrende, anche se nasconde le sue rose in una scorza dura.
Ma quella rosa c’è…ed è stata anche coltivata.
E forse un giorno, quello spirito riuscirà a sentirne l’odore.
Un profumo così buono, che saprà diffondersi anche oltre il cartello “vietato l’accesso”.
Perché vietiamo l’accesso?
Di cosa avremmo bisogno per non farlo?
Poi io pescavo ad uno ad uno un foglio e lo leggevo al gruppo, dal quale ogni volta nasceva una discussione sul senso e sul significato di ogni passo o verso.
Alcune parole mi sono rimaste particolarmente impresse, tanto che, tornata a casa, le ho riscritte e rilette.
Oggi le conosco senza bisogno di leggerle, come le parole di una poesia imparata da piccola.
Chissà da quanto tempo il cuore di tante persone ne ha memoria.
Memoria di vita vissuta. Non di letture ripetute.
Un ragazzo o una ragazza scrisse:
“Ho coltivato nel mio spirito un giardino di rose, l’ho nascosto dentro una scorza dura. Fuori ho messo un cartello con scritto: vietato l’ingresso ai cattivi”.
Giovanni Allevi
Quel foglio strappato divenne metafora di un’anima strappata.
Dopo la lettura nessuno parlò. Aspettai, ma poi quel silenzio impose il coraggio, da parte mia, di guardarli negli occhi e di domandare e domandarmi, cosa possa spingere a coltivare un giardino di rose, a nasconderlo dentro ad una scorza dura e a vietare l’ingresso ai cattivi.
La paura.
La non voglia di soffrire.
La certezza incerta di vivere coccolati dalla “scorza dura”.
Capita a tutti, credo, di nascondersi.
Capita a tutti, credo, di avere paura.
Capita a tutti, credo, di vietare l’ingresso ai cattivi.
Chi sono i cattivi?
Non sono forse coloro di cui abbiamo paura?
Non sono forse coloro che assomigliano a chi ci ha fatto male?
Non sono forse coloro che hanno a loro volta paura e che con la loro paura ci fanno male?
Uno strappo rimane.
Perché abbiamo bisogno di ricordare per poter elaborare e poi magari dimenticare.
La scatola è piena di versi, di passi di libri e di pezzi di canzoni.
In ogni strappo c’è una vita che si riconosce, uno sguardo che si perde, un sorriso che non si dimentica.
Un’anima che non si arrende, anche se nasconde le sue rose in una scorza dura.
Ma quella rosa c’è…ed è stata anche coltivata.
E forse un giorno, quello spirito riuscirà a sentirne l’odore.
Un profumo così buono, che saprà diffondersi anche oltre il cartello “vietato l’accesso”.
Perché vietiamo l’accesso?
Di cosa avremmo bisogno per non farlo?
mercoledì 7 ottobre 2009
Una lettera speciale...
"Quando ti sei svegliato questa mattina ti ho osservato ed ho sperato che tu mi rivolgessi la parola, però ho notato che eri molto occupato a cercare il vestito giusto da metterti per andare a lavorare.
Ho continuato ad aspettare ancora mentre correvi in casa per vestirti e sistemarti, sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti un momento e dirmi “Ciao!”, però eri troppo occupato.
Per questo ho acceso il cielo per te, l’ho riempito di colori e di canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi,però nemmeno di questo ti sei reso conto.
Ti ho osservato mentre ti accingevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno, ma tu eri troppo occupato per dirmi qualcosa.
AI tuo rientro ho visto la stanchezza sul tuo volto ed ho pensato di rinfrescarti un poco facendo cadere una lieve pioggia, perchè questa la portasse via; il mio era un dono, ma tu ti sei infuriato ed hai offeso il mio nome.Desideravo tanto che tu mi parlassi...c’era ancora tanto tempo, ho pensato.
Dopo hai acceso il televisore, ti ho aspettato pazientemente, mentre guardavi la TV, hai cenato e ti sei immerso nel tuo mondo, ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me.
Ho notato che eri stanco ed ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho fatto scendere il sole e al suo posto ho disteso una coperta di stelle ed al centro di questo ho acceso una candela: era uno spettacolo bellissimo, ma tu non ti sei accorto di nulla.
AI momento di dormire, dopo aver augurato la buona notte alla tua famiglia, ti sei coricato e quasi immediatamente ti sei addormentato.
Nemmeno ti sei accorto che io sono sempre con te.
Bene, ti sei svegliato ed ancora una volta io sono qui che aspetto, senza nient’altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un po’ del tuo tempo.
Buona giornata..."
Ricordiamocene ogni tanto...
Ho continuato ad aspettare ancora mentre correvi in casa per vestirti e sistemarti, sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti un momento e dirmi “Ciao!”, però eri troppo occupato.
Per questo ho acceso il cielo per te, l’ho riempito di colori e di canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi,però nemmeno di questo ti sei reso conto.
Ti ho osservato mentre ti accingevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno, ma tu eri troppo occupato per dirmi qualcosa.
AI tuo rientro ho visto la stanchezza sul tuo volto ed ho pensato di rinfrescarti un poco facendo cadere una lieve pioggia, perchè questa la portasse via; il mio era un dono, ma tu ti sei infuriato ed hai offeso il mio nome.Desideravo tanto che tu mi parlassi...c’era ancora tanto tempo, ho pensato.
Dopo hai acceso il televisore, ti ho aspettato pazientemente, mentre guardavi la TV, hai cenato e ti sei immerso nel tuo mondo, ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me.
Ho notato che eri stanco ed ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho fatto scendere il sole e al suo posto ho disteso una coperta di stelle ed al centro di questo ho acceso una candela: era uno spettacolo bellissimo, ma tu non ti sei accorto di nulla.
AI momento di dormire, dopo aver augurato la buona notte alla tua famiglia, ti sei coricato e quasi immediatamente ti sei addormentato.
Nemmeno ti sei accorto che io sono sempre con te.
Bene, ti sei svegliato ed ancora una volta io sono qui che aspetto, senza nient’altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un po’ del tuo tempo.
Buona giornata..."
Ricordiamocene ogni tanto...
lunedì 5 ottobre 2009
Tu amale se vuoi...le emozioni
Oggi mentre facevo le pulizie di casa mi è capitato di ascoltare una canzone alla radio.
Non la sentivo da parecchio tempo…ma è bastato percepire le prime note per fermarmi.
“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi…ritrovarsi a volare.”
Chissà quante volte ci è capitato di seguire con gli occhi un airone o un gabbiano o una rondine o una nuvola…e provare un’emozione.
“Scoprire dove il sole va a dormire.”
Per poi magari rendersi conto di aver rubato quel sole per conservarlo.
E poi tirarlo fuori e giocarci a nascondino, come se fosse un bambino.
E accettare in silenzio la sua compagnia. E sorridere.
E provare un’emozione.
“Non fa rumore.”
Immaginate di trovarvi di fronte ad un’enorme libreria, una di quelle con tanti scaffali, e di avere accanto a voi uno scatolone pieno zeppo di libri.
Per ognuno di loro dovete trovare un posto nella libreria.
Cominciate a riporli, uno ad uno.
La libreria è grande, ma non vi accorgete che non tutti i libri, una volta rimessi a posto, sono visibili.
Alcuni sono capitati dietro.
Alcuni non si vedono.
Di alcuni non ricorderete il titolo né l’autore.
Di alcuni non ricorderete neanche l’esistenza.
“Come la neve non fa rumore”.
Le emozioni che non fanno rumore sono quelle che nascondi nelle pieghe più offuscate dell’anima.
Quelle che riponi dietro alle altre, quelle di cui non ricordi l’origine né il tocco che le ha provocate.
E non sai neanche il perché.
E pensi di averle dimenticate, ma…come quei libri in fondo allo scaffale, sono lì.
Basta solo rispolverarle.
“E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa nascere un giorno una rosa rossa.”
Rispolverare le emozioni, riviverle ed inventarle.
Complicarle, semplificarle, colorarle, spezzarle e legarle, nominarle, scriverle e disegnarle.
Respirarle e soffocarle.
Ascoltarle e accarezzarle.
Donare loro un volto, uno sguardo, un tocco.
Un respiro.
Una vita.
Non la sentivo da parecchio tempo…ma è bastato percepire le prime note per fermarmi.
“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi…ritrovarsi a volare.”
Chissà quante volte ci è capitato di seguire con gli occhi un airone o un gabbiano o una rondine o una nuvola…e provare un’emozione.
“Scoprire dove il sole va a dormire.”
Per poi magari rendersi conto di aver rubato quel sole per conservarlo.
E poi tirarlo fuori e giocarci a nascondino, come se fosse un bambino.
E accettare in silenzio la sua compagnia. E sorridere.
E provare un’emozione.
“Non fa rumore.”
Immaginate di trovarvi di fronte ad un’enorme libreria, una di quelle con tanti scaffali, e di avere accanto a voi uno scatolone pieno zeppo di libri.
Per ognuno di loro dovete trovare un posto nella libreria.
Cominciate a riporli, uno ad uno.
La libreria è grande, ma non vi accorgete che non tutti i libri, una volta rimessi a posto, sono visibili.
Alcuni sono capitati dietro.
Alcuni non si vedono.
Di alcuni non ricorderete il titolo né l’autore.
Di alcuni non ricorderete neanche l’esistenza.
“Come la neve non fa rumore”.
Le emozioni che non fanno rumore sono quelle che nascondi nelle pieghe più offuscate dell’anima.
Quelle che riponi dietro alle altre, quelle di cui non ricordi l’origine né il tocco che le ha provocate.
E non sai neanche il perché.
E pensi di averle dimenticate, ma…come quei libri in fondo allo scaffale, sono lì.
Basta solo rispolverarle.
“E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa nascere un giorno una rosa rossa.”
Rispolverare le emozioni, riviverle ed inventarle.
Complicarle, semplificarle, colorarle, spezzarle e legarle, nominarle, scriverle e disegnarle.
Respirarle e soffocarle.
Ascoltarle e accarezzarle.
Donare loro un volto, uno sguardo, un tocco.
Un respiro.
Una vita.
“Tu chiamale se vuoi…emozioni”.
In un video rivisto poco tempo fa, Roberto Benigni, nel decantare la Divina Commedia, non faceva altro che ripetere “ abbiamo bisogno di essere educati alle emozioni”.
Ce lo siamo mai chiesti?
Ci siamo mai chiesti il perché, spesso, facciamo fatica a tirarle fuori?
Ci siamo mai chiesti il perché, spesso, crediamo di averle dimenticate per sempre?
Ci siamo mai chiesti il perché, spesso, le nascondiamo e fermamente assicuriamo a noi stessi e a chi ci sta di fronte un presente tranquillo?
Ci siamo mai chiesti il perché, spesso, non cerchiamo le emozioni?
Forse aveva ragione Benigni…abbiamo bisogno di essere educati alle emozioni.
Abbiamo bisogno di saperle distinguere, di saperle ricordare, di non saperle distruggere. Di saperle riporre al posto giusto.
Di saperle rispolverare.
Di saperle donare.
Di sapere di averne bisogno.
E di saperle amare.
Senza averne paura.
“Tu chiamale se vuoi…emozioni”.
Già…almeno proviamoci.
“Tu chiamale se vuoi…emozioni”.
Già…almeno proviamoci.
sabato 3 ottobre 2009
Qual è il tuo tempo migliore?
Il tempo migliore è ascoltare il silenzio di un mattino.
Il tempo migliore è scrivere su una foglia una frase che leggerà solo il vento.
Il tempo migliore è non smettere di ascoltarsi.
Il tempo migliore è guardare la luna da una finestra e sapere che non sei la sola a farlo.
Il tempo migliore è capire che esiste un tempo che ora non può appartenerti.
Il tempo migliore è chiudere la porta della tua stanza e non sentirti sola anche se hai scelto la solitudine.
Il tempo migliore è toccare una lacrima con un dito e guardarla sparire nella tua anima.
Il tempo migliore è camminare con le mani in tasca lungo strade silenziose e non dimenticare il perchè sei lì.
Il tempo migliore è confidarsi con Qualcuno che ti conosce più di te stessa.
Il tempo migliore è non lasciare che il tempo migliore perda polvere nella sua clessidra.
Il tempo migliore è capire che esiste un tempo per tutto.
"Per ogni cosa c'è il suo momento. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e uno per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare i sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttare via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare."
(Quoèlet 3,1-8).
Il tempo migliore è tornare a casa e continuare a guardare il cielo.
Perchè solo chi continua a guardare il cielo, non smette di cercare e trovare il suo tempo migliore.
E voi? Lo cercate il vostro tempo migliore?
Riflettete...Riflettete...
lunedì 28 settembre 2009
Ci riscriviamo presto...
Allegra ha deciso di “staccare la spina” per un po’. Del suo computer e non solo.
Parte per alcuni giorni...mi raccomando voi fate i bravi e come sempre:riflettete!
“La solitudine è il più straordinario mezzo per entrare in intimità con noi stessi. E, paradossalmente, la solitudine è anche il miglior mezzo per imparare a comunicare. Solo conoscendomi, cioè conoscendo la mia interiorità, posso parlare all'interiorità dell'altro.”
Susanna Tamaro, “Cara Mathilda”. Rizzoli
Parte per alcuni giorni...mi raccomando voi fate i bravi e come sempre:riflettete!
“La solitudine è il più straordinario mezzo per entrare in intimità con noi stessi. E, paradossalmente, la solitudine è anche il miglior mezzo per imparare a comunicare. Solo conoscendomi, cioè conoscendo la mia interiorità, posso parlare all'interiorità dell'altro.”
Susanna Tamaro, “Cara Mathilda”. Rizzoli
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sabato 26 settembre 2009
Quando sarò capace di accettare che sono capace di amare...
"Quando sarò capace d'amare, probabilmente non avrò bisogno di assassinare in segreto mio padre né di far l'amore con mia madre in sogno.
Quando sarò capace d'amare, con la mia donna non avrò nemmeno la prepotenza e la fragilità di un uomo bambino.
Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che ci sia davvero, che non affolli la mia esistenza ma non mi stia lontana neanche col pensiero.
Vorrò una donna che se io accarezzo una poltrona, un libro o una rosal ei avrebbe voglia di essere solo quella cosa.
Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che non cambi mai, ma dalle grandi alle piccole cose tutto avrà un senso perché esiste lei.
Potrò guardare dentro al suo cuore e avvicinarmi al suo mistero, non come quando io ragiono ma come quando respiro.
Quando sarò capace d'amare farò l'amore come mi viene senza la smania di dimostrare senza chiedere mai se siamo stati bene.
E nel silenzio delle notti con gli occhi stanchi e l'animo gioioso percepire che anche il sonno è vita e non riposo.
Quando sarò capace d'amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere, un amore senza sensi di colpa, senza alcun rimorso, egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso.
Senza cattive o buone azioni, senza altre strane deviazioni che se anche il fiume le potesse avere andrebbe sempre al mare.
Così vorrei amare."
Giorgio Gaber
Ieri sera mi sono ritrovata tra le mani il testo di questa canzone.
L’ho trovata tra le pagine del mio libro di psichiatria…neanche ricordo quando la misi lì né perché.
L’ho riletta.
Non una, ma quattro volte.
La prima per percepirne la bellezza delle parole.
La seconda per sentirsi tagliare a fette l’anima.
La terza per farsi alcune domande.
La quarta per provare a rispondere.
“Quando sarò capace di amare…” farò questo, mi piacerebbe questo, vorrei questo, sarò, farò, senza essere così.
Ho provato a chiedermi “chi”, a parte Dio, sia davvero capace di amare.
Una madre.
Un padre.
Un fratello o una sorella.
Un amico.
Un fidanzato.
Ho provato a chiedermi se questa madre, questo padre, questo fratello o questa sorella, questo amico, questo fidanzato, prima di amare, si fossero chiesti: ma io ne sono capace?
Ho provato a chiedermi perché una madre dona sé stessa ai figli, perché un padre lavora giorno e notte per portare avanti una famiglia, perché un fratello o una sorella si aiutano l’uno con l’altra, perché un amico si sveglia anche alle due di notte per ascoltarti, perché un fidanzato sceglie proprio te.
Poi ho provato a chiedermi perché una madre uccide un figlio, perché un padre violenta una figlia, perché un fratello o una sorella non si rivolgono la parola, perché un amico c’è solo quando gli fai comodo, perché un fidanzato ti delude.
Chi è capace di amare?
Poi ho immaginato un neonato che ha appena visto la luce.
L’ho immaginato compiere i suoi primi passi. Dire la sua prima parola.
Indossare il suo primo grembiule.
Scrivere la sua prima pagina di quaderno.
Amare per la prima volta qualcuno.
“Quando sarò capace di amare?”
Forse mai. O forse ne sono sempre stata capace.
O forse, amare non è una capacità.
Forse è solo coraggio.
Forse è solo bisogno.
Forse è solo verità.
Forse è solo voglia.
Forse è solo speranza.
Ho provato a chiedermi perché si sceglie di amare qualcuno oppure no.
Ma fra tutte le risposte che mi sono data, in nessuna viveva la parola “capacità”.
Giorgio Gaber
Ieri sera mi sono ritrovata tra le mani il testo di questa canzone.
L’ho trovata tra le pagine del mio libro di psichiatria…neanche ricordo quando la misi lì né perché.
L’ho riletta.
Non una, ma quattro volte.
La prima per percepirne la bellezza delle parole.
La seconda per sentirsi tagliare a fette l’anima.
La terza per farsi alcune domande.
La quarta per provare a rispondere.
“Quando sarò capace di amare…” farò questo, mi piacerebbe questo, vorrei questo, sarò, farò, senza essere così.
Ho provato a chiedermi “chi”, a parte Dio, sia davvero capace di amare.
Una madre.
Un padre.
Un fratello o una sorella.
Un amico.
Un fidanzato.
Ho provato a chiedermi se questa madre, questo padre, questo fratello o questa sorella, questo amico, questo fidanzato, prima di amare, si fossero chiesti: ma io ne sono capace?
Ho provato a chiedermi perché una madre dona sé stessa ai figli, perché un padre lavora giorno e notte per portare avanti una famiglia, perché un fratello o una sorella si aiutano l’uno con l’altra, perché un amico si sveglia anche alle due di notte per ascoltarti, perché un fidanzato sceglie proprio te.
Poi ho provato a chiedermi perché una madre uccide un figlio, perché un padre violenta una figlia, perché un fratello o una sorella non si rivolgono la parola, perché un amico c’è solo quando gli fai comodo, perché un fidanzato ti delude.
Chi è capace di amare?
Poi ho immaginato un neonato che ha appena visto la luce.
L’ho immaginato compiere i suoi primi passi. Dire la sua prima parola.
Indossare il suo primo grembiule.
Scrivere la sua prima pagina di quaderno.
Amare per la prima volta qualcuno.
“Quando sarò capace di amare?”
Forse mai. O forse ne sono sempre stata capace.
O forse, amare non è una capacità.
Forse è solo coraggio.
Forse è solo bisogno.
Forse è solo verità.
Forse è solo voglia.
Forse è solo speranza.
Ho provato a chiedermi perché si sceglie di amare qualcuno oppure no.
Ma fra tutte le risposte che mi sono data, in nessuna viveva la parola “capacità”.
Amare è un dono.
Amare è una scelta.
Amare è una volontà.
Amare è una prova che ogni giorno diamo a noi stessi e agli altri.
Tutti, in un modo o nell’altro, amiamo qualcosa o qualcuno.
Anche una madre che uccide un figlio.
Non lo ha fatto perché non è stata capace di amare, ma forse perché non ha scelto di amare neanche sé stessa.
“Così vorrei amare”.
Forse no…perchè così non faccio altro che difendermi dall'amore.
Amare è una scelta.
Amare è una volontà.
Amare è una prova che ogni giorno diamo a noi stessi e agli altri.
Tutti, in un modo o nell’altro, amiamo qualcosa o qualcuno.
Anche una madre che uccide un figlio.
Non lo ha fatto perché non è stata capace di amare, ma forse perché non ha scelto di amare neanche sé stessa.
“Così vorrei amare”.
Forse no…perchè così non faccio altro che difendermi dall'amore.
Forse perchè così non faccio altro che coccolare la paura e il desiderio, ma non il mio bisogno, di cui forse non conosco l'essenza.
Perchè forse...nel momento stesso in cui lo penso, lo desidero, lo voglio, lo scrivo…sto già amando.
Qualcosa o qualcuno.
Non importa.
L’amore è accettare chi abbiamo accettato nella nostra vita.
Senza chiederci se saremo capaci di farlo.
Perché già lo stiamo facendo.
Qualcosa o qualcuno.
Non importa.
L’amore è accettare chi abbiamo accettato nella nostra vita.
Senza chiederci se saremo capaci di farlo.
Perché già lo stiamo facendo.
giovedì 24 settembre 2009
C'era una volta un principe giallo...
Oggi è successa una cosa un po’ strana, che mi ha fatto riflettere.
Sì, ci ho riflettuto mentre mi cambiavo, mentre tornavo a casa, mentre aprivo il portone e poi la porta di casa.
Mentre accendevo la luce e mentre posavo la borsa.
Mentre tutto il mondo era impegnato nella propria quotidianità.
Mentre.
Allegra: Vuoi colorare un disegno?
Bambina: Sì…me lo dai?
Allegra: Certo…guarda un po’ cosa ti faccio vedere…ci sono le principesse, c’è la sirenetta, Biancaneve…dimmi quale vuoi…
Bambina: Mi dai Cenerentola?
Allegra: Eccola qui…
Bambina: Sì…ma come la coloro?
Allegra: Come vuoi colorarla?
Bambina: Non lo so…forse rosa?
Allegra: Rosa!
La bambina mi guarda…
Allegra: Vuoi cambiare colore?
Bambina: No…ma il principe come lo faccio?
Allegra: Beh…lo facciamo azzurro?
Bambina: No azzurro no…il principe azzurro non esiste me lo dice sempre la mia mamma.
Istintivamente guardo la mamma seduta poco distante. Sulle sue labbra si disegna un triste sorriso.
Allegra: E allora io direi di farlo giallo, che dici?
Bambina: Sì giallo mi piace. Cenerentola azzurra e il principe giallo!
Mentre tutto il mondo è immerso nella propria quotidianità, io continuo a pensare.
“Il principe azzurro non esiste me lo dice sempre la mia mamma”.
Quando a volte mi capita di pensare alla mia infanzia, mi vengono in mente le fiabe che adoravo tanto guardare e leggere, quelle in cui la principessa veniva salvata dal suo principe azzurro con il cavallo bianco.
Non m’importava del dopo…ero contenta semplicemente perché loro “sarebbero vissuti felici e contenti”.
Ero contenta di guardare il mondo che era contento.
Ero contenta di sapere che due persone erano felici e contente.
Ero contenta di crederci.
E la mia mamma era contenta di vedermi contenta.
Poi si cresce e si imparano tante cose…ma questa è un’altra storia.
Perché quella bambina non ha voluto colorare il principe con l’azzurro?
Perché non può credere che esiste il principe azzurro?
Nella mia mente gli occhi della bambina s’incrociano con il sorriso triste della mamma.
E con la mancanza di un padre. E di un marito.
Accendo la TV. C’è il telegiornale.
A Bologna una madre uccide i suoi due figli, di sei e cinque anni. E poi si toglie la vita.
“Era depressa perché il marito l’aveva lasciata. Aveva 34 anni”.
Spengo il televisore e ripenso al principe colorato di giallo appeso ad una parete bianca.
Ripenso alle favole e al bisogno di crederci o non crederci ancora.
Ripenso al mondo, all’amore, ai principi azzurri e gialli.
Ripenso a tutto ciò che accade nella nostra quotidianità e mi chiedo quale sia la risposta giusta per tutto.
Se un giorno avrò una figlia e lei mi chiedesse di raccontarle una favola…perché non dovrei raccontarle che può esistere un principe azzurro?
Perché non dovrei sperare per lei un futuro migliore?
Perché non dovremmo credere senza falsificare la realtà?
Avrei voluto dire qualcosa a quella mamma oggi.
Ma non l’ho fatto…perché dovevo stare nel mio ruolo.
Non conosco la sua storia.
Ma conosco quegli occhi e quel sorriso.
E soprattutto la mano di quella bambina che colorava un principe di giallo.
Il colore del sole, della luce, della speranza, dell’allegria.
Non abbiamo bisogno di inventarci la realtà, ma spesso la fantasia e la speranza hanno bisogno di incontrarsi come due linee curve che formano un cerchio perfetto.
Le fiabe sono importanti. Tanto quanto la realtà.
Basta saperle equilibrare…soprattutto con i bambini.
Perché loro non c’entrano niente con le nostre sofferenze, con i nostri sbagli e con gli sbagli di un principe giallo.
Le fiabe sono importanti per immedesimarsi, per confrontarsi con la ‘cattiveria’, e anche per credere (e sperare) che nella vita possa esistere il lieto fine.Attraverso l’identificazione con l’eroe della fiaba, ci viene trasmessa la speranza che i problemi siano risolvibili, che esista sempre la possibilità di un cambiamento e che “il prossimo” esista, per salvarci.La fiaba ci infonde quel coraggio di cui abbiamo bisogno per non restare ancorati al passato e andare incontro ad un futuro pieno di speranza e allegria.
Il posto delle favole
Le favole dove stanno?
Ce n’è una in ogni cosa:nel legno, nel tavolino,nel bicchiere, nella rosa...
La favola sta lì dentro da tanto tempo, e non parla:è una bella addormentata e bisogna svegliarla..Ma se un principe, o un poeta,a baciarla non verrà
Invano la sua favola aspetterà.
Gianni Rodari
Perché dovremmo smettere di crederci?
Invano la sua favola aspetterà.
Gianni Rodari
Perché dovremmo smettere di crederci?
martedì 22 settembre 2009
Ricordati di non dimenticare...
Negli ospedali pediatrici i bambini non sono solo corpi da curare.
Sono anche anime e sorrisi da coccolare.
Non dimentichiamolo mai...e questo sabato, non dimentichiamo di uscire di casa, di raggiungere la piazza più vicina e di offrire il nostro contributo per sostenere l'ABIO (Associazione per il Bambino in Ospedale).
Non è pubblicità, ma solo un consiglio...perchè chi aiuta un bambino, aiuta un pezzo di cielo a salvare sè stesso.
domenica 20 settembre 2009
Scrivere...scrivere...scrivere...
"Tutte le persone che sono passate o passeranno nella nostra vita sono importanti per la nostra crescita, perché tutte indistintamente ci lasciano qualcosa.Non importa, se quello che raggiunge la nostra mente e il nostro cuore non è sempre di nostro gradimento, la cosa veramente importante, sarà tutto quanto noi riusciremo a trarre dal loro passaggio. Ogni loro parola, ogni loro gesto, tornerà utile per comprendere e imparare qualcosa di nuovo.Impariamo ad ascoltare, impariamo a guardare, impariamo a sentire e in ognuna di quelle persone, troveremo una parte di noi, una parte che forse non riteniamo nostra, ma che è lì ad insegnarci tutto quello che non vorremmo mai essere o diventare in futuro.Gli eventi, gli incontri e tutto quanto si muove intorno a noi non avviene mai a caso, c’è sempre una ragione, magari non facile da accettare, oppure troppo bella per non essere presa al volo, ma questo non cambia lo stato delle cose e lo scopriremo se impareremo a pensare alle ragioni che possono aver mosso tali evenienze.Per questo motivo voglio ringraziare tutte le persone che hanno avuto anche solo una piccola parte nella mia esistenza e dalle quali ho avuto l’opportunità di imparare molto."
Rossella Pirovano, “Ho chiesto perdono a mio figlio”
Rossella Pirovano, “Ho chiesto perdono a mio figlio”
Sono sempre stata convinta che la vita non si scrive mai da soli, che le persone che incontriamo nel nostro cammino lasciano spesso un segno dal quale continuare ad andare avanti.
Ci pensavo proprio stamattina mentre preparavo un progetto per un seminario di scrittura espressiva autobiografica che terrò nei prossimi mesi con alcuni ragazzi.
E’ così che mi è venuta in mente l’idea di proporre anche a voi due esercizi che fanno parte del progetto, legati in particolare al ruolo che alcune persone importanti hanno avuto o hanno nella nostra vita.
Vi basta poco: quarantacinque minuti di tempo, una penna, un quadernino ( oppure dei fogli), un po’ di solitudine e voglia di scoprirsi dentro.
▪ Primo esercizio – RITRATTI ( di Chiara Ferroni)
Quante volte abbiamo conosciuto personaggi che sono rimasti nella nostra mente, o perché hanno fatto parte integrante della nostra vita, o perché in qualche modo hanno colpito i nostri occhi, il nostro cuore, il nostro immaginario… in questo esercizio si chiede ai partecipanti, in 25 minuti, di “ritrarre” tre personaggi incontrati durante il cammino della propria vita. Alcuni esempi di personaggi possono essere: mio padre, il negoziante sotto casa, il mio allenatore, il compagno di banco, il mio professore e così via… All’interno di questo ritratto, si dovrà cercare di far capire cosa ha lasciato nella vita di chi scrive quel personaggio.
▪ Secondo esercizio – SE TU SCRIVESSI A ME… ( di Carmen Garofalo)
Riprendendo le fila dell’esercizio precedente, si chiede di scegliere uno dei tre ritratti di persone significative della propria vita e di immaginare che questa persona scriva a noi una lettera.
Immedesimarsi in una persona che ha significativamente segnato la propria vita, vuol dire entrarvi in sintonia attraverso ciò che ci lega a lei.
Quando il rapporto tra due persone è vero ed autentico, anche nelle più sottili pieghe dei nostri giorni, è la verità di ciò che si pensa e di ciò che si è fatto che fa da cornice al legame.
Una lettera scritta a mano è il luogo in cui le emozioni, le sensazioni, i sentimenti prendono la forma di parole che nascono dal movimento della propria penna poggiata sul foglio.
E’ in questo movimento che si rendono vivi i ricordi e le speranze: cosa penso mi voglia scrivere quella persona che ha tanto significato per me e per la mia vita? Cosa penso che pensi di me? Cosa penso che speri per me? Cosa vorrei che mi scrivesse?
Durata: 20 minuti.
A volte basta poco per conoscersi un po’ meglio…basta poco per ritagliarsi un po’ di tempo nelle frenetiche giornate, e pensare profondamente a sè stessi e a ciò che circonda la propria vita.
Non dimentichiamo di che pasta siamo fatti.
Non siamo solo corpo che ha bisogno di respirare, lavorare e mangiare.
Siamo anche anima che ha bisogno di guardarsi dentro.
“Le mie trame divennero complicate, cominciavo
a scoprirmi.
Sono nato dalla scrittura.
Scrivendo esistevo”
Jean-Paul Sartre
Ci pensavo proprio stamattina mentre preparavo un progetto per un seminario di scrittura espressiva autobiografica che terrò nei prossimi mesi con alcuni ragazzi.
E’ così che mi è venuta in mente l’idea di proporre anche a voi due esercizi che fanno parte del progetto, legati in particolare al ruolo che alcune persone importanti hanno avuto o hanno nella nostra vita.
Vi basta poco: quarantacinque minuti di tempo, una penna, un quadernino ( oppure dei fogli), un po’ di solitudine e voglia di scoprirsi dentro.
▪ Primo esercizio – RITRATTI ( di Chiara Ferroni)
Quante volte abbiamo conosciuto personaggi che sono rimasti nella nostra mente, o perché hanno fatto parte integrante della nostra vita, o perché in qualche modo hanno colpito i nostri occhi, il nostro cuore, il nostro immaginario… in questo esercizio si chiede ai partecipanti, in 25 minuti, di “ritrarre” tre personaggi incontrati durante il cammino della propria vita. Alcuni esempi di personaggi possono essere: mio padre, il negoziante sotto casa, il mio allenatore, il compagno di banco, il mio professore e così via… All’interno di questo ritratto, si dovrà cercare di far capire cosa ha lasciato nella vita di chi scrive quel personaggio.
▪ Secondo esercizio – SE TU SCRIVESSI A ME… ( di Carmen Garofalo)
Riprendendo le fila dell’esercizio precedente, si chiede di scegliere uno dei tre ritratti di persone significative della propria vita e di immaginare che questa persona scriva a noi una lettera.
Immedesimarsi in una persona che ha significativamente segnato la propria vita, vuol dire entrarvi in sintonia attraverso ciò che ci lega a lei.
Quando il rapporto tra due persone è vero ed autentico, anche nelle più sottili pieghe dei nostri giorni, è la verità di ciò che si pensa e di ciò che si è fatto che fa da cornice al legame.
Una lettera scritta a mano è il luogo in cui le emozioni, le sensazioni, i sentimenti prendono la forma di parole che nascono dal movimento della propria penna poggiata sul foglio.
E’ in questo movimento che si rendono vivi i ricordi e le speranze: cosa penso mi voglia scrivere quella persona che ha tanto significato per me e per la mia vita? Cosa penso che pensi di me? Cosa penso che speri per me? Cosa vorrei che mi scrivesse?
Durata: 20 minuti.
A volte basta poco per conoscersi un po’ meglio…basta poco per ritagliarsi un po’ di tempo nelle frenetiche giornate, e pensare profondamente a sè stessi e a ciò che circonda la propria vita.
Non dimentichiamo di che pasta siamo fatti.
Non siamo solo corpo che ha bisogno di respirare, lavorare e mangiare.
Siamo anche anima che ha bisogno di guardarsi dentro.
“Le mie trame divennero complicate, cominciavo
a scoprirmi.
Sono nato dalla scrittura.
Scrivendo esistevo”
Jean-Paul Sartre
SCRIVETE…SCRIVETE…SCRIVETE…
mercoledì 16 settembre 2009
Cara Carmen ti scrivo...
Quando facevi la ballerina e non riuscivi ad eseguire un passo, la tua insegnante te lo faceva fare e rifare fino allo sfinimento ripetendoti: non esiste il “non ci riesco”.
Nel corso della tua vita questa frase è diventata una sorta di monito, un faro che ti illumina ogni volta che senti dentro il pericolo del “non ce la farai mai”.
Oggi compi ventiquattro anni.
A volte senti di averne la metà, per tutte le volte che vivi “momenti di ordinaria follia”, altre invece, è come se ne sentissi addosso il doppio, per tutte le volte che vivi le “fatidiche giornate no”.
Se ti guardi indietro, riesci a vedere una bambina che è diventata una giovane donna attraverso un cammino di cui non cambierebbe neanche una strada, neanche un ciottolo incontrato per caso, neanche una direzione sbagliata, neanche un sentiero misteriosamente scoperto.
Tutto si è perfettamente composto, nella gioia e nel dolore, nel disegno che Qualcuno sta dipingendo insieme a te: Lui ti porge la tavolozza, tu scegli i colori.
In alcune circostanze, quando non sai dove bagnare il pennello, Gli chiedi dei consigli.
A volte ti appaiono incomprensibili e preferisci fare di testa tua, altre tenti di seguirli, anche grazie a chi hai incontrato nel tuo cammino.
Il regalo che fai a te stessa nel giorno del tuo ventiquattresimo compleanno è semplicemente un GRAZIE.
A Qualcuno che non si stanca mai di porgerti la tavolozza.
Alla tua famiglia, senza la quale non saresti quella che sei.
Ai tuoi amici, senza i quali saresti una donna a metà.
A chi hai incontrato, perduto, ritrovato e lasciato andare, senza i quali non sapresti guardare alla vita così come ora la guardi.
Alle passioni e agli ideali che ti hanno formato e fatto crescere più quanto credessi possibile.
“Non esiste il non ci riesco”…oggi lo sai più di ieri, perché hai imparato che i veri insegnamenti sono quelli che ti sorprendono nei momenti più impensabili della tua vita e che ti ricordano che è esistito un tempo in cui, in un’età e in un luogo diversi, hai cercato di forgiarli su te stessa.
Oggi sei abbastanza matura per non dimenticartene…quindi, non cercare scuse per ripetere a te stessa che non ce la farai mai.
Buon compleanno Carmen.
Nel corso della tua vita questa frase è diventata una sorta di monito, un faro che ti illumina ogni volta che senti dentro il pericolo del “non ce la farai mai”.
Oggi compi ventiquattro anni.
A volte senti di averne la metà, per tutte le volte che vivi “momenti di ordinaria follia”, altre invece, è come se ne sentissi addosso il doppio, per tutte le volte che vivi le “fatidiche giornate no”.
Se ti guardi indietro, riesci a vedere una bambina che è diventata una giovane donna attraverso un cammino di cui non cambierebbe neanche una strada, neanche un ciottolo incontrato per caso, neanche una direzione sbagliata, neanche un sentiero misteriosamente scoperto.
Tutto si è perfettamente composto, nella gioia e nel dolore, nel disegno che Qualcuno sta dipingendo insieme a te: Lui ti porge la tavolozza, tu scegli i colori.
In alcune circostanze, quando non sai dove bagnare il pennello, Gli chiedi dei consigli.
A volte ti appaiono incomprensibili e preferisci fare di testa tua, altre tenti di seguirli, anche grazie a chi hai incontrato nel tuo cammino.
Il regalo che fai a te stessa nel giorno del tuo ventiquattresimo compleanno è semplicemente un GRAZIE.
A Qualcuno che non si stanca mai di porgerti la tavolozza.
Alla tua famiglia, senza la quale non saresti quella che sei.
Ai tuoi amici, senza i quali saresti una donna a metà.
A chi hai incontrato, perduto, ritrovato e lasciato andare, senza i quali non sapresti guardare alla vita così come ora la guardi.
Alle passioni e agli ideali che ti hanno formato e fatto crescere più quanto credessi possibile.
“Non esiste il non ci riesco”…oggi lo sai più di ieri, perché hai imparato che i veri insegnamenti sono quelli che ti sorprendono nei momenti più impensabili della tua vita e che ti ricordano che è esistito un tempo in cui, in un’età e in un luogo diversi, hai cercato di forgiarli su te stessa.
Oggi sei abbastanza matura per non dimenticartene…quindi, non cercare scuse per ripetere a te stessa che non ce la farai mai.
Buon compleanno Carmen.
lunedì 14 settembre 2009
Cosa rimane?
Amica Allegra: che mi racconti?
Allegra: a parte che in questo periodo ho quasi sempre "un gomitolo di lana" aggrovigliato nello stomaco...tutto bene!
Amica Allegra: Come mai?
Allegra: consciamente non lo so...inconsciamente forse sì...quindi in teoria lo so.
Amica Allegra: la speranza va al di là dell'inconscio...purtoppo o per fortuna?
Allegra: caspita che frase!
Amica Allegra: La Eloisa fa questo effetto!
Allegra: E' tua, sua o di chi?
Amica Allegra: Catia production!
"La speranza va oltre l'inconscio...purtroppo o per fortuna?"
Cosa c'è oltre la non consapevolezza di quello che sentiamo e speriamo?
Cosa c'è oltre la non consapevolezza di quello che ci aspettiamo, da noi stessi e dagli altri?
Forse la speranza è la misura perfetta di ciò che è necessario alla nostra vita.
Se ciò che è necessario alla nostra vita è ciò di cui non possiamo fare meno per vivere, allora la speranza sta a noi stessi come noi stessi stiamo alla nostra vita.
E se Shakespeare scriveva che "Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni", io scriverei che "noi siamo fatti della stessa sostanza della speranza".
Perchè se manca la speranza, in tutto e per tutto, mi dite cosa rimane?
Riflettete..riflettete...
sabato 12 settembre 2009
I bambini: sempre e comunque
“C’era una volta un bambino. Aveva nove anni.
Si chiamava Matteo.
Viveva con i suoi genitori e due sorelle più grandi.
Quel giorno, chiuso in quella stanza grigia, attorniato da tante persone, non voleva parlare.
L’aveva fatto già troppe volte, proprio in quella stanza.
Nessuno gli aveva creduto.
E quel giorno, con il suo silenzio, regalava la conferma a chi la pretendeva.
Era tutto falso, si era inventato tutto.
Quel signore non aveva la camicia gialla.
Quel signore non era in quel giardino, ma a casa con la sua famiglia.
Quel signore non conosceva Matteo.
Non l’aveva mai visto.
“Matteo si è inventato tutto…è un bambino.
E un bambino, spesso, diventa una cosa sola con la fantasia.
Un bambino immagina e non distingue cosa sia la realtà dalla fantasia.
Magari ha visto un film in televisione, oppure ha sentito qualcosa.
Ma non è successo realmente”.
Con queste parole si concluse l’udienza.
Matteo aveva nove anni.
Nessuno gli aveva creduto.”
I bambini possiamo incontrarli dappertutto: camminando per le strade, entrando in un autobus, correndo in un parco, affacciandoci ad una finestra, facendo la fila ad un supermercato.
E’ strano come “tutti noi, o quasi,” quando vediamo un bambino cambiamo viso.
Li guardiamo e sorridiamo.
E spesso loro ricambiano il nostro sorriso.
C’è una cosa però che, nella mia piccola vita, non sono riuscita ancora a capire.
“Tutti o quasi” siamo dalla parte dei bambini e “quasi” sempre.
I bambini sono indifesi, i bambini hanno bisogno di cure, i bambini sono sorprendenti, i bambini sono vivaci, i bambini allietano il mondo, i bambini fanno sorridere.
Tutto vero.
Ma ci siamo mai chiesti cosa significhi essere dalla parte dei bambini?
Cosa significhi metterli al primo posto e donare loro la giusta importanza?
Quasi mai.
Il perché va cercato nell’adultocentrismo, di cui siamo consapevoli ed inconsapevoli al tempo stesso:perché facciamo fatica a credere ai bambini, perché “i bambini sono una cosa sola con la fantasia”, perché i bambini inventano tutto, perché i bambini a tre, cinque, dieci anni sono “capaci” di inventarsi dettagli e ricordi, e invece “non sono capaci” di dire la verità.
Siamo sicuri di tutto questo?
Io no.
"Un bambino cieco mi chiese come era fatto il sole ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mare ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mondo ed io chiudendo gli occhi e piangendo...glielo INVENTAI!"
Jim Morrison
Si chiamava Matteo.
Viveva con i suoi genitori e due sorelle più grandi.
Quel giorno, chiuso in quella stanza grigia, attorniato da tante persone, non voleva parlare.
L’aveva fatto già troppe volte, proprio in quella stanza.
Nessuno gli aveva creduto.
E quel giorno, con il suo silenzio, regalava la conferma a chi la pretendeva.
Era tutto falso, si era inventato tutto.
Quel signore non aveva la camicia gialla.
Quel signore non era in quel giardino, ma a casa con la sua famiglia.
Quel signore non conosceva Matteo.
Non l’aveva mai visto.
“Matteo si è inventato tutto…è un bambino.
E un bambino, spesso, diventa una cosa sola con la fantasia.
Un bambino immagina e non distingue cosa sia la realtà dalla fantasia.
Magari ha visto un film in televisione, oppure ha sentito qualcosa.
Ma non è successo realmente”.
Con queste parole si concluse l’udienza.
Matteo aveva nove anni.
Nessuno gli aveva creduto.”
I bambini possiamo incontrarli dappertutto: camminando per le strade, entrando in un autobus, correndo in un parco, affacciandoci ad una finestra, facendo la fila ad un supermercato.
E’ strano come “tutti noi, o quasi,” quando vediamo un bambino cambiamo viso.
Li guardiamo e sorridiamo.
E spesso loro ricambiano il nostro sorriso.
C’è una cosa però che, nella mia piccola vita, non sono riuscita ancora a capire.
“Tutti o quasi” siamo dalla parte dei bambini e “quasi” sempre.
I bambini sono indifesi, i bambini hanno bisogno di cure, i bambini sono sorprendenti, i bambini sono vivaci, i bambini allietano il mondo, i bambini fanno sorridere.
Tutto vero.
Ma ci siamo mai chiesti cosa significhi essere dalla parte dei bambini?
Cosa significhi metterli al primo posto e donare loro la giusta importanza?
Quasi mai.
Il perché va cercato nell’adultocentrismo, di cui siamo consapevoli ed inconsapevoli al tempo stesso:perché facciamo fatica a credere ai bambini, perché “i bambini sono una cosa sola con la fantasia”, perché i bambini inventano tutto, perché i bambini a tre, cinque, dieci anni sono “capaci” di inventarsi dettagli e ricordi, e invece “non sono capaci” di dire la verità.
Siamo sicuri di tutto questo?
Io no.
"Un bambino cieco mi chiese come era fatto il sole ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mare ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mondo ed io chiudendo gli occhi e piangendo...glielo INVENTAI!"
Jim Morrison
Di bambini come Matteo ne esistono, purtroppo, tanti.
Di adulti che affermano che i “bambini s’inventano tutto”, ne esistono troppi.
Di persone che s’impegnano per proteggerli, difenderli ed essere “con verità” realmente dalla loro parte…sì, ce ne sono.
Il venti novembre del 2009 si festeggia la giornata mondiale del fanciullo.
In questa occasione il Movimento per l’Infanzia organizza nelle sedi di tutta Italia una giornata per presentare progetti, conoscenze e ricerche scientifiche per la creazione di un futuro a misura di bambino, non solo a misura di adulto.
L’infanzia è la risorsa più preziosa che abbiamo e sono i bambini i portatori di tutti quei valori che dovrebbero essere a fondamento di ogni società: bambini lo siamo stati, bambini lo siamo ancora.
Questa pagina di diario è un po’ diversa dalle altre.
Oggi vi invito ad una riflessione profonda, non solo su queste mie parole, ma su tutto quello che succede nel mondo intero, nei più nascosti ed impensabili angoli della nostra quotidianità.
Non solo sui fatti eclatanti che tanto attirano la nostra attenzione come se vivessimo nel grande fratello tutti i giorni, ma su quelle “guerre invisibili” che si consumano ai danni di un bambino.
Prima, con una violenza, in un posto qualsiasi.
Poi, con un’altra violenza, in un’aula di tribunale.
Infine, con l’ennesima violenza, nella vita di tutti i giorni.
"Un bambino cieco mi chiese come era fatto il sole ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mare ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mondo ed io chiudendo gli occhi e SORRIDENDO...glielo RACCONTAI!"
Di adulti che affermano che i “bambini s’inventano tutto”, ne esistono troppi.
Di persone che s’impegnano per proteggerli, difenderli ed essere “con verità” realmente dalla loro parte…sì, ce ne sono.
Il venti novembre del 2009 si festeggia la giornata mondiale del fanciullo.
In questa occasione il Movimento per l’Infanzia organizza nelle sedi di tutta Italia una giornata per presentare progetti, conoscenze e ricerche scientifiche per la creazione di un futuro a misura di bambino, non solo a misura di adulto.
L’infanzia è la risorsa più preziosa che abbiamo e sono i bambini i portatori di tutti quei valori che dovrebbero essere a fondamento di ogni società: bambini lo siamo stati, bambini lo siamo ancora.
Questa pagina di diario è un po’ diversa dalle altre.
Oggi vi invito ad una riflessione profonda, non solo su queste mie parole, ma su tutto quello che succede nel mondo intero, nei più nascosti ed impensabili angoli della nostra quotidianità.
Non solo sui fatti eclatanti che tanto attirano la nostra attenzione come se vivessimo nel grande fratello tutti i giorni, ma su quelle “guerre invisibili” che si consumano ai danni di un bambino.
Prima, con una violenza, in un posto qualsiasi.
Poi, con un’altra violenza, in un’aula di tribunale.
Infine, con l’ennesima violenza, nella vita di tutti i giorni.
"Un bambino cieco mi chiese come era fatto il sole ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mare ed io glielo spiegai, poi mi chiese come era fatto il mondo ed io chiudendo gli occhi e SORRIDENDO...glielo RACCONTAI!"
Sarà possibile, un giorno, raccontare a tutti i bambini della terra che il mondo che vorrebbero non c’è bisogno d’inventarlo… perché esiste già?
Riflettete…e se potete, partecipate alla giornata del 20 novembre nella vostra città.
E’ solo un passo, ma è già qualcosa.
Riflettete…e se potete, partecipate alla giornata del 20 novembre nella vostra città.
E’ solo un passo, ma è già qualcosa.
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sabato 5 settembre 2009
Quale sarà il tuo posto?
Non c’è un momento preciso in cui ti rendi conto di dover cambiare.
Spesso vivi frammenti di vita che ti offrono l’opportunità di guardare al mondo per scoprire quale sarà il tuo posto.
E guardando al mondo, ti ritrovi a spogliare contemporaneamente te stessa.
Capita così quando si fa un trasloco.
Sembra banale, ma non lo è.
Scatole su scatole, valigie su valigie, pacchi su pacchi.
Ricordi su ricordi.
Ogni oggetto rimanda ad un momento.
Ogni jeans ad una lezione all’università.
Ogni maglia ad un esame superato.
Ogni abito ad una serata indimenticabile.
Ogni pigiama ad una nottata passata a chiacchierare con un’amica.
Tutto finisce dentro una scatola, ed è così che quel cartone profuma di ricordi.
Un trasloco impone sempre una riflessione: sul tuo passato, sul tuo presente e sul futuro che stai cercando di costruire.
Se quelle scatole, ieri, profumavano di ricordi, oggi ne riscopri un nuovo odore.
Che sa di promessa.
Ti mancherà quel posto, inutile scuotere la testa.
Ti mancheranno quei volti, quelle voci, quei sorrisi e quegli sguardi a volte accigliati.
Ti mancheranno persino i rumori cha avevi imparato a prevedere.
Ti mancheranno le chiacchiere, le risate e il rumore di una chiave che gira nella toppa.
Ti mancheranno tutti quei cinque anni.
Il trasloco è terminato.
“Questa la butto via?” – una voce risuona fuori dalla porta.
E’ rimasta l’ultima scatola.
Vuota, ma piena di ricordi e di promesse.
Come il tuo cuore.
“No…quella la conservo”.
E sorridi, anche se nessuno sa il perché.
Potrebbe essere ingombrante, potrebbe darti fastidio, potrebbe non servirti.
Ma decidi di conservarla.
Chiudi la porta e respiri a fondo.
“ Quale sarà il mio posto?
Lo so, non mi farai fare brutta figura,
non mi farai sentire creatura che non serve a niente,
perché Tu sei fatto così:
quando ti serve una pietra per la tua costruzione,
prendi il primo ciottolo che incontri,
lo guardi con infinita tenerezza,
e lo rendi quella pietra di cui hai bisogno.
Cosa farai di questo ciottolo che sono io?
Se mi metti sotto un pavimento
che nessuno vede ma che sostiene lo splendore di uno zaffiro,
o in cima ad una cupola
che tutti vedono e ne restano abbagliati,
ha poca importanza.
Importante è trovarmi ogni giorno là
dove Tu mi metti,
senza ritardi.”
Car.A.Ballestrero
La scatola è al buio di un armadio.
Ma il tuo cuore è colmo di ricordi, di ringraziamenti e di promesse.
Non importa che tu sia lontana, non importa che si perda la quotidianità, non importa che dovrai ricominciare.
Questa è la vita che hai scelto.
E sai quale sarà il tuo posto: nella promessa di quella che sei.
Grazie a Qualcuno che sta scrivendo insieme a te le pagine della tua vita e grazie a chi ti ha dato la possibilità di essere quella che sei.
E’ stato un anno pieno di distacchi, fisici e psicologici, distacchi che ti hanno dato, ancora una volta, la possibilità di fermarti e poi di reagire.
Il tuo amico Igor della finestra di fronte, dice che il nuovo anno non inizia a gennaio, ma a settembre.
Sei d’accordo con lui.
E sei d’accordo anche con chi crede che la storia della vita non si scrive mai da soli.
Oggi lo sai più di ieri.
Perché l’odore di quella scatola è sempre con te, per ricordarti che se sei quella che sei, è anche grazie a tutte quelle persone che conservi sempre nel cuore e che per te sono un segno dell'amore di Dio.
Ed è quello il tuo posto migliore.
Spesso vivi frammenti di vita che ti offrono l’opportunità di guardare al mondo per scoprire quale sarà il tuo posto.
E guardando al mondo, ti ritrovi a spogliare contemporaneamente te stessa.
Capita così quando si fa un trasloco.
Sembra banale, ma non lo è.
Scatole su scatole, valigie su valigie, pacchi su pacchi.
Ricordi su ricordi.
Ogni oggetto rimanda ad un momento.
Ogni jeans ad una lezione all’università.
Ogni maglia ad un esame superato.
Ogni abito ad una serata indimenticabile.
Ogni pigiama ad una nottata passata a chiacchierare con un’amica.
Tutto finisce dentro una scatola, ed è così che quel cartone profuma di ricordi.
Un trasloco impone sempre una riflessione: sul tuo passato, sul tuo presente e sul futuro che stai cercando di costruire.
Se quelle scatole, ieri, profumavano di ricordi, oggi ne riscopri un nuovo odore.
Che sa di promessa.
Ti mancherà quel posto, inutile scuotere la testa.
Ti mancheranno quei volti, quelle voci, quei sorrisi e quegli sguardi a volte accigliati.
Ti mancheranno persino i rumori cha avevi imparato a prevedere.
Ti mancheranno le chiacchiere, le risate e il rumore di una chiave che gira nella toppa.
Ti mancheranno tutti quei cinque anni.
Il trasloco è terminato.
“Questa la butto via?” – una voce risuona fuori dalla porta.
E’ rimasta l’ultima scatola.
Vuota, ma piena di ricordi e di promesse.
Come il tuo cuore.
“No…quella la conservo”.
E sorridi, anche se nessuno sa il perché.
Potrebbe essere ingombrante, potrebbe darti fastidio, potrebbe non servirti.
Ma decidi di conservarla.
Chiudi la porta e respiri a fondo.
“ Quale sarà il mio posto?
Lo so, non mi farai fare brutta figura,
non mi farai sentire creatura che non serve a niente,
perché Tu sei fatto così:
quando ti serve una pietra per la tua costruzione,
prendi il primo ciottolo che incontri,
lo guardi con infinita tenerezza,
e lo rendi quella pietra di cui hai bisogno.
Cosa farai di questo ciottolo che sono io?
Se mi metti sotto un pavimento
che nessuno vede ma che sostiene lo splendore di uno zaffiro,
o in cima ad una cupola
che tutti vedono e ne restano abbagliati,
ha poca importanza.
Importante è trovarmi ogni giorno là
dove Tu mi metti,
senza ritardi.”
Car.A.Ballestrero
La scatola è al buio di un armadio.
Ma il tuo cuore è colmo di ricordi, di ringraziamenti e di promesse.
Non importa che tu sia lontana, non importa che si perda la quotidianità, non importa che dovrai ricominciare.
Questa è la vita che hai scelto.
E sai quale sarà il tuo posto: nella promessa di quella che sei.
Grazie a Qualcuno che sta scrivendo insieme a te le pagine della tua vita e grazie a chi ti ha dato la possibilità di essere quella che sei.
E’ stato un anno pieno di distacchi, fisici e psicologici, distacchi che ti hanno dato, ancora una volta, la possibilità di fermarti e poi di reagire.
Il tuo amico Igor della finestra di fronte, dice che il nuovo anno non inizia a gennaio, ma a settembre.
Sei d’accordo con lui.
E sei d’accordo anche con chi crede che la storia della vita non si scrive mai da soli.
Oggi lo sai più di ieri.
Perché l’odore di quella scatola è sempre con te, per ricordarti che se sei quella che sei, è anche grazie a tutte quelle persone che conservi sempre nel cuore e che per te sono un segno dell'amore di Dio.
Ed è quello il tuo posto migliore.
Un posto che non si vede e che non ha bisogno nè di mobili nè di scatole.
Ma solo di te e di loro.
Buon inizio anno…
Buon inizio anno…
domenica 30 agosto 2009
C'è una risposta alla paura?
Il post del 24 agosto ha suscitato molti commenti interessanti, che a loro volta hanno provocato domande interessanti.
E' bello quando non ci si accontenta delle risposte, quando si vuole scavare in profondità e non accontentarsi della superficie.
In particolare, nell'ultima parte dei commenti, c'è stato un dialogo tra un Anonimo e Allegra che è rimasto senza risposta.
Anonimo: Come si può fare quando si ha paura?
Allegra: Cercare di non vedere l'altro sempre come un nemico...e rischiare.La paura non è mai più grande di noi...
Anonimo: E come si cerca di non vedere l'altro come un nemico?Come si fa capire che la paura non è più grande di noi?
Allegra: A questa domanda nessuno può rispondere se non ognuno nella situazione in cui vive.Non c'è un "saper fare" universale...c'è solo la volontà, in quel momento, di voler legarsi a qualcuno.Costi quel che costi.Sta a noi.
Allegra: Cercare di non vedere l'altro sempre come un nemico...e rischiare.La paura non è mai più grande di noi...
Anonimo: E come si cerca di non vedere l'altro come un nemico?Come si fa capire che la paura non è più grande di noi?
Allegra: A questa domanda nessuno può rispondere se non ognuno nella situazione in cui vive.Non c'è un "saper fare" universale...c'è solo la volontà, in quel momento, di voler legarsi a qualcuno.Costi quel che costi.Sta a noi.
Anonimo: Non mi basta come risposta...
Allegra in questi giorni è parecchio indaffarata, nel suo cervello e nella sua vita...le date una mano a rispondere all'anonimo lettore?
mercoledì 26 agosto 2009
Vedi alla voce:spontaneità
Qualche mese fa ero seduta sui banchi dell’aula 9 della facoltà di Psicologia di Firenze ad ascoltare una lezione sulla comunicazione paradossale.
Ricordo che ci fu una risata generale quando la professoressa, per mostrarci alcuni esempi di tale tipo di comunicazione, proiettò una diapositiva con su scritto:
SII SPONTANEO!
Beh…la risata ci stava. E ci stavano ancor di più i commentini tra noi colleghi.
Ma questa è un’altra storia.
Potrei elencare un’infinita serie di sinonimi quali: naturalezza, semplicità, schiettezza, franchezza, apertura, disinvoltura, scioltezza, autenticità.
Il risultato non cambia.
Credo che oggi la spontaneità sia un valore (sì, mi piace chiamarlo valore) in estinzione.
Ho come l’impressione che più si tenda verso l’evoluzione… più ci si ritrovi nell’involuzione.
L’uomo crea, l’uomo inventa, l’uomo opera trasformazioni impossibili, l’uomo formula leggi e applica sentenze, l’uomo diagnostica, l’uomo si riempie la giornata di infiniti impegni, l’uomo non è più solo uno ma centomila: sei laureato, di più; hai il dottorato di ricerca, di più; hai fatto questo master, di più; hai ottenuto questa specializzazione, di più; fai questo nella vita, non solo; fai quest’altro, ancora.
Ancora. Ancora. Ancora.
Le prime pagine dei libri di storia, ci mostrano un uomo al buio di una caverna con due pietre in mano.
Le ultime pagine, ci regalano fenomenali invenzioni capaci di superare l’impossibile.
Tra i due estremi, ci siamo noi, nella nostra quotidianità.
Ci sono le nostre piccole invenzioni, i nostri successi, i nostri traguardi, le scelte che ci fanno “grandi”.
Quando Dio creò l’uomo, lo chiamò Adamo. Fatto di terra.
Non aveva bisogno di niente, neanche di coprirsi, perché tutto era gratuito…tutto spontaneo. Come la terra.
Oggi l’uomo è diventato grande…e sembra non aver bisogno di niente.
Ma è tutto diverso.
Perché tutto non è spontaneo.
Perché ci affanniamo ad essere grandi e a raggiungere traguardi dopo traguardi…e poi ci perdiamo nelle piccole cose, non sappiamo cosa fare, non riusciamo a capirci e a capire l’altro, cerchiamo sempre di trovare le parole giuste per essere nel giusto, le parole perfette per ogni occasione, costruite a puntino per ogni persona.
Ricordo che ci fu una risata generale quando la professoressa, per mostrarci alcuni esempi di tale tipo di comunicazione, proiettò una diapositiva con su scritto:
SII SPONTANEO!
Beh…la risata ci stava. E ci stavano ancor di più i commentini tra noi colleghi.
Ma questa è un’altra storia.
Potrei elencare un’infinita serie di sinonimi quali: naturalezza, semplicità, schiettezza, franchezza, apertura, disinvoltura, scioltezza, autenticità.
Il risultato non cambia.
Credo che oggi la spontaneità sia un valore (sì, mi piace chiamarlo valore) in estinzione.
Ho come l’impressione che più si tenda verso l’evoluzione… più ci si ritrovi nell’involuzione.
L’uomo crea, l’uomo inventa, l’uomo opera trasformazioni impossibili, l’uomo formula leggi e applica sentenze, l’uomo diagnostica, l’uomo si riempie la giornata di infiniti impegni, l’uomo non è più solo uno ma centomila: sei laureato, di più; hai il dottorato di ricerca, di più; hai fatto questo master, di più; hai ottenuto questa specializzazione, di più; fai questo nella vita, non solo; fai quest’altro, ancora.
Ancora. Ancora. Ancora.
Le prime pagine dei libri di storia, ci mostrano un uomo al buio di una caverna con due pietre in mano.
Le ultime pagine, ci regalano fenomenali invenzioni capaci di superare l’impossibile.
Tra i due estremi, ci siamo noi, nella nostra quotidianità.
Ci sono le nostre piccole invenzioni, i nostri successi, i nostri traguardi, le scelte che ci fanno “grandi”.
Quando Dio creò l’uomo, lo chiamò Adamo. Fatto di terra.
Non aveva bisogno di niente, neanche di coprirsi, perché tutto era gratuito…tutto spontaneo. Come la terra.
Oggi l’uomo è diventato grande…e sembra non aver bisogno di niente.
Ma è tutto diverso.
Perché tutto non è spontaneo.
Perché ci affanniamo ad essere grandi e a raggiungere traguardi dopo traguardi…e poi ci perdiamo nelle piccole cose, non sappiamo cosa fare, non riusciamo a capirci e a capire l’altro, cerchiamo sempre di trovare le parole giuste per essere nel giusto, le parole perfette per ogni occasione, costruite a puntino per ogni persona.
“Ha detto così…vediamo un po’…cosa dico ora? Non posso dirgli così, se poi pensa colà? No aspetta, ma l’altra volta mi ha detto che…quindi è meglio dire così…però un attimo…aspetta…vediamo un po’ se gli dico questo…magari pensa quell’altro…ma ti ricordi quando disse che…dunque potrebbe darsi che se gli dico questo…già…allora sì ho deciso…gli dico QUESTO!”
“Guarda c’è Tizia! No, cambiamo strada, non so che dirle, se poi mi dice dell’altra volta, aspetta, vediamo cosa le posso dire, ci penso un attimo…bah non lo so, facciamo che la chiamo più tardi così penso un po’ a cosa dirle…o no aspetta…vediamo se la trovo su facebook in chat!Ah no…in chat no, è TROPPO IMMEDIATO, poi non ho tempo per pensare a cosa scriverle. Ho deciso: le scrivo un messaggio oppure una mail. Più tardi però.”
Sono passati alcuni mesi, ma è come se i miei occhi leggessero sempre quelle parole sulla diapositiva: SII SPONTANEO!
Paradossale come richiesta, certo, ma credo che oggi ci sia bisogno di una vera e propria iniezione di spontaneità.
Ma attenzione.
Esiste la parola “autenticità”.
Qualcuno mi ha insegnato che è l’espressione del vero sè, dell’IO, origine della vita corporea, nei suoi aspetti fisici e psichici, e che accanto al vero sé, c’è anche il falso sé…che ci permette di essere anche un po’ falsi per mantenere un buon rapporto con gli altri.
Il falso sé non ha in questi termini connotazioni negative, ma ci aiuta ad esprimere noi stessi modulando le relazioni in rapporto al contesto e allo stile di personalità degli altri; rappresenta la giusta prudenza che occorre avere nei confronti degli altri.
Dunque qualcuno potrebbe obiettare: non che io non sia spontaneo…sono semplicemente autentico!
Credo che la spontaneità non vada confusa con “il dire la prima cosa che passa per la testa a chiunque e dovunque” e l’autenticità non vada mescolata alla “totale costruzione delle parole per mascherare quello che vogliamo dire o non dire veramente”.
Esiste il giusto mezzo. Sempre.
Dunque…sì, pensare e pensare bene a cosa si dice e a chi si dice, se l’uomo è dotato di intelligenza superiore rispetto agli altri esseri viventi ,ci sarà un motivo…ma senza dimenticarci di non costruire troppo le nostre parole, senza dimenticarci che l’altro è lì ad aspettare quello che noi stiamo architettando di dire o di scrivere, senza dimenticarci che è così bello non misurare con spasmodica maniacalità le parole perché sappiamo che l’altro è lì, ed è lì per noi.
Sarebbe bello se ce ne ricordassimo ogni tanto.
La sottoscritta in primis.
L’uomo è diventato grande, ma ha bisogno di non dimenticarsi che è “fatto di terra”.
Ha bisogno di non dimenticarsi che è stato un bambino.
Ha bisogno di non dimenticarsi, che aver paura della spontaneità, è aver paura di sé stesso.
E se ha paura di sé stesso non è più né uno né centomila…ma diventa nessuno.
Non possiamo aver paura anche di essere spontanei.
Non ce lo possiamo permettere.
Paradossale come richiesta, certo, ma credo che oggi ci sia bisogno di una vera e propria iniezione di spontaneità.
Ma attenzione.
Esiste la parola “autenticità”.
Qualcuno mi ha insegnato che è l’espressione del vero sè, dell’IO, origine della vita corporea, nei suoi aspetti fisici e psichici, e che accanto al vero sé, c’è anche il falso sé…che ci permette di essere anche un po’ falsi per mantenere un buon rapporto con gli altri.
Il falso sé non ha in questi termini connotazioni negative, ma ci aiuta ad esprimere noi stessi modulando le relazioni in rapporto al contesto e allo stile di personalità degli altri; rappresenta la giusta prudenza che occorre avere nei confronti degli altri.
Dunque qualcuno potrebbe obiettare: non che io non sia spontaneo…sono semplicemente autentico!
Credo che la spontaneità non vada confusa con “il dire la prima cosa che passa per la testa a chiunque e dovunque” e l’autenticità non vada mescolata alla “totale costruzione delle parole per mascherare quello che vogliamo dire o non dire veramente”.
Esiste il giusto mezzo. Sempre.
Dunque…sì, pensare e pensare bene a cosa si dice e a chi si dice, se l’uomo è dotato di intelligenza superiore rispetto agli altri esseri viventi ,ci sarà un motivo…ma senza dimenticarci di non costruire troppo le nostre parole, senza dimenticarci che l’altro è lì ad aspettare quello che noi stiamo architettando di dire o di scrivere, senza dimenticarci che è così bello non misurare con spasmodica maniacalità le parole perché sappiamo che l’altro è lì, ed è lì per noi.
Sarebbe bello se ce ne ricordassimo ogni tanto.
La sottoscritta in primis.
L’uomo è diventato grande, ma ha bisogno di non dimenticarsi che è “fatto di terra”.
Ha bisogno di non dimenticarsi che è stato un bambino.
Ha bisogno di non dimenticarsi, che aver paura della spontaneità, è aver paura di sé stesso.
E se ha paura di sé stesso non è più né uno né centomila…ma diventa nessuno.
Non possiamo aver paura anche di essere spontanei.
Non ce lo possiamo permettere.
P.S.: Allegra per questo post non modera i commenti...SIATE SPONTANEI! (con decenza).
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lunedì 24 agosto 2009
Che tu sia per me verità
I libri sono come chiodi piantati nel muro. Restano.
Anche quando provi a rimuoverli…rimane sempre un segno profondo.
Libri che compri.
Libri che leggi una volta.
Libri che leggi e rileggi.
Libri che presti.
Libri che regali.
Libri che ti fai prestare.
Libri di cui ricordi frammenti.
Libri che citi.
Libri che non dimentichi.
Libri che consigli.
Libri che assolvono il tuo passato.
Libri che rispecchiano il tuo presente.
Libri che ritrovi dopo tanti anni.
“ Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità.
Sarei felice di poter dire a me stesso:”con lei ho stillato verità”.
Sì, è questo ciò che voglio.
Voglio che tu sia per me il coltello, e anche io lo sarò per te, prometto.
Un coltello affilato, ma misericordioso”.
David Grossman, “Che tu sia per me il coltello” (p.17)
I tuoi occhi accolgono quelle parole.
Lo stesso movimento di una mano che sfiora il segno di un chiodo piantato in un muro.
Anni fa le dita della tua mano non avrebbero percorso tutte le insenature di quel segno.
Ma oggi è diverso, e non è un caso se hai ripreso proprio quel libro in mano.
Il chiodo non c’è più, ma il segno è indelebile, perché trovi il coraggio di scrostare il bianco della pittura che aveva tentato di ricoprirlo.
Qualcuno, più di duemila anni fa, prima di condannare a morte Qualcuno, chiese: che cos’è la verità?
Oggi, uno degli scrittori più in gamba, paragona il dirsi la verità ad un coltello, affilato e misericordioso.
Cosa vuol dire?
Voglio che tu sia per me il coltello.
Voglio che tu sia per me la verità che non ho mai rivelato a nessuno.
Sarebbe bello se tutti costruissimo legami così.
Sarebbe bello poter dire: “con lei ho stillato verità”.
Sarebbe bello poter dire: “sì, è questo ciò che voglio”.
Ma abbiamo paura di noi stessi, abbiamo paura di quello che gli altri possano tirar fuori da noi, abbiamo paura di rivelare noi stessi e quello che gli altri possano pensare, abbiamo paura di costruire legami perché amiamo prevedere come andrà a finire, abbiamo paura di leggere negli altri la paura, abbiamo paura di avere paura.
Anche della verità.
Sarebbe bello poter dire: “anche io lo sarò per te, prometto”.
Ma, a volte, abbiamo paura anche di sentircelo dire.
Perché il coltello fa male.
E abbiamo paura di soffrire.
Voglio che tu sia per me il coltello.
Ogni libro è un dono ed un messaggio.
Il dono è che, se il libro vale, ti induce ad una riflessione.
Il messaggio è che ti accompagna verso le giuste domande.
Voglio: desidero, ne ho bisogno, è necessario, non posso vivere senza.
Che tu sia: nessun altro, ma solo tu, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, con quello che hai e quello che ti manca.
Per me: nessun altro, ma solo io, con i miei pregi e i miei difetti, con quello che ho e quello che mi manca.
Il coltello: penetrante da lasciarti senza respiro.
Affilato: tagliente, doloroso.
Anche quando provi a rimuoverli…rimane sempre un segno profondo.
Libri che compri.
Libri che leggi una volta.
Libri che leggi e rileggi.
Libri che presti.
Libri che regali.
Libri che ti fai prestare.
Libri di cui ricordi frammenti.
Libri che citi.
Libri che non dimentichi.
Libri che consigli.
Libri che assolvono il tuo passato.
Libri che rispecchiano il tuo presente.
Libri che ritrovi dopo tanti anni.
“ Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un’iniezione di verità, per dirla, finalmente, la verità.
Sarei felice di poter dire a me stesso:”con lei ho stillato verità”.
Sì, è questo ciò che voglio.
Voglio che tu sia per me il coltello, e anche io lo sarò per te, prometto.
Un coltello affilato, ma misericordioso”.
David Grossman, “Che tu sia per me il coltello” (p.17)
I tuoi occhi accolgono quelle parole.
Lo stesso movimento di una mano che sfiora il segno di un chiodo piantato in un muro.
Anni fa le dita della tua mano non avrebbero percorso tutte le insenature di quel segno.
Ma oggi è diverso, e non è un caso se hai ripreso proprio quel libro in mano.
Il chiodo non c’è più, ma il segno è indelebile, perché trovi il coraggio di scrostare il bianco della pittura che aveva tentato di ricoprirlo.
Qualcuno, più di duemila anni fa, prima di condannare a morte Qualcuno, chiese: che cos’è la verità?
Oggi, uno degli scrittori più in gamba, paragona il dirsi la verità ad un coltello, affilato e misericordioso.
Cosa vuol dire?
Voglio che tu sia per me il coltello.
Voglio che tu sia per me la verità che non ho mai rivelato a nessuno.
Sarebbe bello se tutti costruissimo legami così.
Sarebbe bello poter dire: “con lei ho stillato verità”.
Sarebbe bello poter dire: “sì, è questo ciò che voglio”.
Ma abbiamo paura di noi stessi, abbiamo paura di quello che gli altri possano tirar fuori da noi, abbiamo paura di rivelare noi stessi e quello che gli altri possano pensare, abbiamo paura di costruire legami perché amiamo prevedere come andrà a finire, abbiamo paura di leggere negli altri la paura, abbiamo paura di avere paura.
Anche della verità.
Sarebbe bello poter dire: “anche io lo sarò per te, prometto”.
Ma, a volte, abbiamo paura anche di sentircelo dire.
Perché il coltello fa male.
E abbiamo paura di soffrire.
Voglio che tu sia per me il coltello.
Ogni libro è un dono ed un messaggio.
Il dono è che, se il libro vale, ti induce ad una riflessione.
Il messaggio è che ti accompagna verso le giuste domande.
Voglio: desidero, ne ho bisogno, è necessario, non posso vivere senza.
Che tu sia: nessun altro, ma solo tu, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, con quello che hai e quello che ti manca.
Per me: nessun altro, ma solo io, con i miei pregi e i miei difetti, con quello che ho e quello che mi manca.
Il coltello: penetrante da lasciarti senza respiro.
Affilato: tagliente, doloroso.
Ma: non c'è solo dolore...
Misericordioso: che mi dia la salvezza.
Il posto del chiodo è vacante. Ma il segno è visibile anche da lontano.
Il libro si chiude e lo si rimette a posto. Ma le domande restano.
Sarebbe bello se ognuno tenesse a mente queste parole e le ripetesse ad un genitore, ad un figlio, ad un fratello o ad una sorella, ad un marito o ad una moglie, ad un fidanzato o ad una fidanzata, ad un amico o ad un’amica, ad una persona con cui si vorrebbe costruire un legame.
Sarebbe bello se tutto nascesse dalla verità.
Sarebbe bello se ogni legame la sapesse raccontare.
I legami ci tengono in vita, in orizzontale e in verticale.
Sta a noi inventare il modo in cui stringerli.
E’ possibile con un coltello affilato e misericordioso?
Misericordioso: che mi dia la salvezza.
Il posto del chiodo è vacante. Ma il segno è visibile anche da lontano.
Il libro si chiude e lo si rimette a posto. Ma le domande restano.
Sarebbe bello se ognuno tenesse a mente queste parole e le ripetesse ad un genitore, ad un figlio, ad un fratello o ad una sorella, ad un marito o ad una moglie, ad un fidanzato o ad una fidanzata, ad un amico o ad un’amica, ad una persona con cui si vorrebbe costruire un legame.
Sarebbe bello se tutto nascesse dalla verità.
Sarebbe bello se ogni legame la sapesse raccontare.
I legami ci tengono in vita, in orizzontale e in verticale.
Sta a noi inventare il modo in cui stringerli.
E’ possibile con un coltello affilato e misericordioso?
lunedì 17 agosto 2009
Scopri l'amore e fallo conoscere al mondo...
Tante parole definiscono un solo sentimento nelle sue più disparate accezioni:
Agape, l’amore incondizionato, anche non ricambiato.
Anteros, l’amore corrisposto cui ciascuno aspira.
Eros, l’amore sessuale.
Himeros, la passione occasionale che vuole subitanea soddisfazione.
Phileo, l’amore di affetto e piacere, come tra gli amici.
Photos, il desiderio verso cui tendiamo.
Stergo, l’amore di appartenenza, come tra consanguinei.
Thelo, il piacere di fare qualcosa, il desiderio di voler fare.
L’amore è da sempre un sentimento comune a tutti.
Ne senti parlare ad una cena, se il tuo amico ti chiede un consiglio per conquistare la ragazza che finalmente gli ha stregato il cuore.
Ne senti parlare al telefono, se la tua amica soffre e vorrebbe andare via chissà dove.
Ne senti parlare di sfuggita mentre sei in bicicletta, mentre qualcuno litiga al telefono.
Lo percepisci nelle note di una melodia di un musicista troppo severo con sé stesso.
Lo leggi nelle pagine di un libro che vorresti aver scritto tu.
Lo guardi nella scena di un film che ti ricorda quanto l’amore può essere forte ed instancabile.
Lo scrivi.
Su una pagina bianca, su un post-it affisso ad una parete, su un fazzoletto nascosto in tasca, nelle pieghe più sottili del cuore.
Sensazioni, litigi, godimenti, atroci dolori dei nostri “giorno per giorno”.
Tutti da sempre desideriamo l’amore, tutti da sempre ne viviamo, tutti da sempre ne soffriamo.
L’amore è da sempre un sentimento comune a tutti.
Da sempre e per sempre.
Per ognuno di noi cambia l’oggetto della passione, ma è sempre una guerra che l’anima combatte tra il volere e il non volere, tra l’esserci ed il non esserci, tra l’egoismo e la voglia di donarsi all’altro, tra bugie e verità.
Tra amore e disamore.
L’amore è sentimento comune a tutti…per quanto, spesso, nei nostri “giorno per giorno”, ce ne dimentichiamo.
Ma l’amore è come una madre che perdona tutte le nostre fughe, e ci riaccoglie, se è vero ed autentico, a braccia aperte.
“ Se Dio ti guardasse negli occhi e ti dicesse: ti ordino di essere felice per tutta la vita… tu che cosa faresti?”
Richard Bach
Ora chiudiamo gli occhi e proviamo ad immaginarci soli, anche per un solo attimo, sul punto del mondo più distante dalla persona che amiamo, e ripensiamo al verso di questo scrittore.
Che cosa faremmo se Qualcuno ci ordinasse di essere felice?
Proviamo ad immaginarlo, e forse scopriremo, che troppo spesso ci dimentichiamo di quello di cui abbiamo davvero bisogno per essere felici.
Soprattutto… nei nostri “giorno per giorno”.
Agape, l’amore incondizionato, anche non ricambiato.
Anteros, l’amore corrisposto cui ciascuno aspira.
Eros, l’amore sessuale.
Himeros, la passione occasionale che vuole subitanea soddisfazione.
Phileo, l’amore di affetto e piacere, come tra gli amici.
Photos, il desiderio verso cui tendiamo.
Stergo, l’amore di appartenenza, come tra consanguinei.
Thelo, il piacere di fare qualcosa, il desiderio di voler fare.
L’amore è da sempre un sentimento comune a tutti.
Ne senti parlare ad una cena, se il tuo amico ti chiede un consiglio per conquistare la ragazza che finalmente gli ha stregato il cuore.
Ne senti parlare al telefono, se la tua amica soffre e vorrebbe andare via chissà dove.
Ne senti parlare di sfuggita mentre sei in bicicletta, mentre qualcuno litiga al telefono.
Lo percepisci nelle note di una melodia di un musicista troppo severo con sé stesso.
Lo leggi nelle pagine di un libro che vorresti aver scritto tu.
Lo guardi nella scena di un film che ti ricorda quanto l’amore può essere forte ed instancabile.
Lo scrivi.
Su una pagina bianca, su un post-it affisso ad una parete, su un fazzoletto nascosto in tasca, nelle pieghe più sottili del cuore.
Sensazioni, litigi, godimenti, atroci dolori dei nostri “giorno per giorno”.
Tutti da sempre desideriamo l’amore, tutti da sempre ne viviamo, tutti da sempre ne soffriamo.
L’amore è da sempre un sentimento comune a tutti.
Da sempre e per sempre.
Per ognuno di noi cambia l’oggetto della passione, ma è sempre una guerra che l’anima combatte tra il volere e il non volere, tra l’esserci ed il non esserci, tra l’egoismo e la voglia di donarsi all’altro, tra bugie e verità.
Tra amore e disamore.
L’amore è sentimento comune a tutti…per quanto, spesso, nei nostri “giorno per giorno”, ce ne dimentichiamo.
Ma l’amore è come una madre che perdona tutte le nostre fughe, e ci riaccoglie, se è vero ed autentico, a braccia aperte.
“ Se Dio ti guardasse negli occhi e ti dicesse: ti ordino di essere felice per tutta la vita… tu che cosa faresti?”
Richard Bach
Ora chiudiamo gli occhi e proviamo ad immaginarci soli, anche per un solo attimo, sul punto del mondo più distante dalla persona che amiamo, e ripensiamo al verso di questo scrittore.
Che cosa faremmo se Qualcuno ci ordinasse di essere felice?
Proviamo ad immaginarlo, e forse scopriremo, che troppo spesso ci dimentichiamo di quello di cui abbiamo davvero bisogno per essere felici.
Soprattutto… nei nostri “giorno per giorno”.
lunedì 10 agosto 2009
Nessuno tocchi l'arte!
“Non leggiamo e scriviamo poesie perché è divertente: leggiamo e scriviamo poesie perché apparteniamo alla razza umana; e la razza umana è piena di passione.La medicina, il diritto, l'economia e l'ingegneria sono nobili occupazioni, necessarie alla sopravvivenza; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, queste sono le cose che ci tengono in vita. Citando Walt Whitman: - O me o vita, domande come questa mi perseguitano, infiniti cortei di infedeli,città gremite di stolti, che v'è di nuovo in tutto questo? O me o vita - Risposta: che tu sei qui, che la vita esiste, e l'identità; che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.Quale sarà il tuo?”
Dal film “L’attimo fuggente”
Il nuovo decreto anticrisi varato dal governo, prevede, tra gli altri, dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo.
La mia ingenuità e fiducia, mi portano a sperare che qualcuno si ravveda e che la cultura non venga usata come chiave di uscita dalla crisi economica nella quale siamo caduti.
Chi va a teatro e fa teatro, chi va al cinema e fa cinema, chi scrive e chi legge, chi intona una melodia e la ascolta, chi dipinge un quadro e chi viene rapito ammirandolo, chi balla e chi guarda danzare, non perdono il loro tempo ma ne inventano uno migliore, che vive contemporaneamente nel passato, nel presente e nel futuro.
Nell’arte vive il tempo passato che prende la forma di una storia che viene scritta, rappresentata, dipinta e cantata nel tempo presente, e infine regalata al futuro di chi avrà la fortuna di rileggerla, di rivederla e di riascoltarla.
Questo blog non è una testata giornalistica, ma si unisce alla protesta di quanti credono ancora che l’arte e la cultura siano strumenti in grado di renderci liberi regalandoci la possibilità di esprimere ciò che siamo.
Probabilmente l’arte non è necessaria alla sopravvivenza del cosmo e del corpo umano…ma proviamo a pensare, anche e solo per un istante…ad un mondo senza arte.
Senza quadri.
Senza spettacoli.
Senza cinema.
Senza libri.
Senza musica.
Senza monumenti e sculture.
Senza danza.
L’uomo respirerebbe ancora, camminerebbe ancora, dormirebbe ancora, si risveglierebbe ancora, mangerebbe ancora, parlerebbe ancora.
Ci sarebbero ancora gli alberi per tenerci al riparo dal sole, le strade per lasciarci camminare, il sole per riscaldarci, la luna per sorprenderci a guardarla, il mare per poterlo ammirare, le montagne per sognare di scalarle, il mondo intero per immaginare di scoprirlo, le stelle per continuare a desiderare.
Tutto questo ci sarebbe ancora, ma senza l’arte, nessuno avrebbe la magia di raccontarlo.
L’arte è un dono che Qualcuno ha regalato al mondo attraverso gli artisti.
Ma per fare in modo che gli artisti continuino a regalarla al mondo, è necessario non operare alcun taglio.
Questa è la notte dei desideri.
Facciamo tutti in modo che le stelle abbiano ancora la possibilità di essere raccontate, rappresentate, danzate, dipinte, orchestrate in una sinfonia.
Perché senza l’arte, l’uomo non potrebbe più raccontare sé stesso.
Dal film “L’attimo fuggente”
Il nuovo decreto anticrisi varato dal governo, prevede, tra gli altri, dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo.
La mia ingenuità e fiducia, mi portano a sperare che qualcuno si ravveda e che la cultura non venga usata come chiave di uscita dalla crisi economica nella quale siamo caduti.
Chi va a teatro e fa teatro, chi va al cinema e fa cinema, chi scrive e chi legge, chi intona una melodia e la ascolta, chi dipinge un quadro e chi viene rapito ammirandolo, chi balla e chi guarda danzare, non perdono il loro tempo ma ne inventano uno migliore, che vive contemporaneamente nel passato, nel presente e nel futuro.
Nell’arte vive il tempo passato che prende la forma di una storia che viene scritta, rappresentata, dipinta e cantata nel tempo presente, e infine regalata al futuro di chi avrà la fortuna di rileggerla, di rivederla e di riascoltarla.
Questo blog non è una testata giornalistica, ma si unisce alla protesta di quanti credono ancora che l’arte e la cultura siano strumenti in grado di renderci liberi regalandoci la possibilità di esprimere ciò che siamo.
Probabilmente l’arte non è necessaria alla sopravvivenza del cosmo e del corpo umano…ma proviamo a pensare, anche e solo per un istante…ad un mondo senza arte.
Senza quadri.
Senza spettacoli.
Senza cinema.
Senza libri.
Senza musica.
Senza monumenti e sculture.
Senza danza.
L’uomo respirerebbe ancora, camminerebbe ancora, dormirebbe ancora, si risveglierebbe ancora, mangerebbe ancora, parlerebbe ancora.
Ci sarebbero ancora gli alberi per tenerci al riparo dal sole, le strade per lasciarci camminare, il sole per riscaldarci, la luna per sorprenderci a guardarla, il mare per poterlo ammirare, le montagne per sognare di scalarle, il mondo intero per immaginare di scoprirlo, le stelle per continuare a desiderare.
Tutto questo ci sarebbe ancora, ma senza l’arte, nessuno avrebbe la magia di raccontarlo.
L’arte è un dono che Qualcuno ha regalato al mondo attraverso gli artisti.
Ma per fare in modo che gli artisti continuino a regalarla al mondo, è necessario non operare alcun taglio.
Questa è la notte dei desideri.
Facciamo tutti in modo che le stelle abbiano ancora la possibilità di essere raccontate, rappresentate, danzate, dipinte, orchestrate in una sinfonia.
Perché senza l’arte, l’uomo non potrebbe più raccontare sé stesso.
giovedì 6 agosto 2009
Piccoli ma grandi...
AMICA ALLEGRA: ma alla fine faccio poco...anzi non faccio niente…non gli insegno molto, anche se è un’esperienza molto bella.
ALLEGRA: si dà soprattutto quando non ci si accorge di dare…
AMICA ALLEGRA: bella...scrivila da qualche parte…
ALLEGRA: ok…però tu ricordati di metterla in pratica!
Apriamo gli occhi. Sbadigliamo. Ci alziamo. Bagno e doccia. Facciamo colazione. Ci vestiamo.
Ci pettiniamo. Ci trucchiamo. Usciamo o restiamo in casa. Giochiamo. Studiamo. Lavoriamo.
Scriviamo romanzi. Parliamo. Litighiamo. Mangiamo. Dormiamo. Leggiamo. Urliamo. Ridiamo. Piangiamo. Impariamo a vivere ed insegniamo a farlo. Impariamo ad amare ricominciando sempre da capo. Scriviamo lettere che non spediremo mai. Ascoltiamo gli altri. Ascoltiamo noi stessi.
Ci ricordiamo degli amici e ci dimentichiamo di noi o viceversa.
Ci guardiamo allo specchio eppure disegniamo spesso un’altra immagine di noi.
Passiamo le giornate e non ci accorgiamo, che in ogni piccolo invisibile gesto, diamo più di quanto pensiamo, ed è quel gesto che dà forma alla nostra vera immagine, anche se lo specchio di tutti i giorni ce ne rimanda incessantemente un’altra.
Ogni frammento della nostra vita è una storia da raccontare, che sia un verso o un romanzo epico.
Nessuna bellezza è data dall’altezza.
Nessuna bellezza è data solo da uno specchio.
Nessuna bellezza è data solo da noi stessi.
“Si dà soprattutto quando non ci si accorge di dare…”. E spesso sono le cose più piccole.
La bellezza di quello che siamo è data dall’immagine che dipingiamo giorno dopo giorno sulla tela della vita.
E sono i piccoli momenti in un'intera giornata, una singola parola detta o scritta, i piccoli sguardi, i piccoli gesti…che danno vita all’intero quadro.
Perché…pensiamoci un attimo…se cade una statua di cristallo, essa si frantuma in mille pezzi.
Ma se cade il più piccolo frammento di quella statua, esso non si frantuma, ma rimane intero.
ALLEGRA: si dà soprattutto quando non ci si accorge di dare…
AMICA ALLEGRA: bella...scrivila da qualche parte…
ALLEGRA: ok…però tu ricordati di metterla in pratica!
Apriamo gli occhi. Sbadigliamo. Ci alziamo. Bagno e doccia. Facciamo colazione. Ci vestiamo.
Ci pettiniamo. Ci trucchiamo. Usciamo o restiamo in casa. Giochiamo. Studiamo. Lavoriamo.
Scriviamo romanzi. Parliamo. Litighiamo. Mangiamo. Dormiamo. Leggiamo. Urliamo. Ridiamo. Piangiamo. Impariamo a vivere ed insegniamo a farlo. Impariamo ad amare ricominciando sempre da capo. Scriviamo lettere che non spediremo mai. Ascoltiamo gli altri. Ascoltiamo noi stessi.
Ci ricordiamo degli amici e ci dimentichiamo di noi o viceversa.
Ci guardiamo allo specchio eppure disegniamo spesso un’altra immagine di noi.
Passiamo le giornate e non ci accorgiamo, che in ogni piccolo invisibile gesto, diamo più di quanto pensiamo, ed è quel gesto che dà forma alla nostra vera immagine, anche se lo specchio di tutti i giorni ce ne rimanda incessantemente un’altra.
Ogni frammento della nostra vita è una storia da raccontare, che sia un verso o un romanzo epico.
Nessuna bellezza è data dall’altezza.
Nessuna bellezza è data solo da uno specchio.
Nessuna bellezza è data solo da noi stessi.
“Si dà soprattutto quando non ci si accorge di dare…”. E spesso sono le cose più piccole.
La bellezza di quello che siamo è data dall’immagine che dipingiamo giorno dopo giorno sulla tela della vita.
E sono i piccoli momenti in un'intera giornata, una singola parola detta o scritta, i piccoli sguardi, i piccoli gesti…che danno vita all’intero quadro.
Perché…pensiamoci un attimo…se cade una statua di cristallo, essa si frantuma in mille pezzi.
Ma se cade il più piccolo frammento di quella statua, esso non si frantuma, ma rimane intero.
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sabato 1 agosto 2009
Tu che scelta sei?
Sei senza parole. E decidi di rimanerci.
Peccato che i tuoi vicini non siano del tuo stesso parere.
Ore 00:00. Decidi di andare a letto dopo una giornata pesante.
I vicini sono in giardino. E parlano. Anzi, litigano.
Per la precisione, due fratelli abbastanza stagionati, 42 anni lui e 37 anni lei, non smettono di dirsene di tutti i colori per una parola di troppo detta da lei nel bel mezzo di un litigio tra lui e la moglie di lui.
Tra moglie e marito non mettere il dito. Se lei lo avesse fatto, loro si sarebbero risparmiati la litigata e io avrei cercato di dormire (d’accordo, forse no, però almeno ci avrei provato).
Ore 01:00. Il litigio continua a toni molto alti.
Lui: immediatamente te ne devi andare da casa mia.
Lei: apri il cancello che me ne vado pensi non abbia il coraggio.
Moglie di lui: ma finiamola che è tardi, domani mattina ne riparliamo con calma.
Allegra fissa il soffitto sospirando.
Ore 01:30. Il litigio continua.
Lei: stai facendo di tutto per andare in guerra, in pace non ci sai stare.
Lui: perché tu che stai facendo? Peggio peggio.
Buon sangue non mente. Si vede che sono fratelli.
Allegra accende la lucina, si siede in mezzo al letto e si prende le ginocchia tra le braccia.
Poi prende un foglio ed una penna e decide di scrivere la solita lettera che non spedirà mai.
Non sa neanche perché la scrive, ma non ci è dato sapere tutto.
Ore 02:00. Il litigio continua, ma Allegra non lo sente quasi più.
Scrive parole che forse non hanno senso, parole che leggerà solo lei e che respireranno il vuoto di un cassetto.
Poi si addormenta, non sa come.
Ore 06:45. Il sole filtra tra le persiane.
“ Ciao Maria.Tutto bene siamo arrivati proprio adesso”.
Allegra apre gli occhi e li richiude subito dopo.
Oh no! Sono arrivati gli altri vicini.
“Sì il viaggio è andato bene, solo che ho sempre questo mal di stomaco che non mi da pace”.
Ma che bisogno hai di urlare alle 7 mattina del primo di agosto???
Allegra si gira e si rigira.
“Sì ora ci sistemiamo…ma perché non venite a trovarci così chiacchieriamo un po’?”.
Allegra spalanca gli occhi e si alza dal letto.
Decide di infilarsi la sua tuta corta e anticipare di 12 ore la sua corsetta quotidiana.
Esce e si rifugia sulla spiaggia quasi deserta.
Corre, corre, corre. Guarda il mare e corre.
Non c’è il vecchietto che pesca tutte le sere e che le chiede sempre com’è andata la giornata.
Peccato, avrebbe avuto voglia di parlare con lui.
Corre, corre, corre. Poi si ferma.
Respira e butta via i cattivi pensieri.
Si siede poco più in là della riva e guarda il mare.
Da bambina voleva riuscire ad acchiappare quel luccichio, ma tutti le dicevano che era impossibile.
Ora lo guarda e lo ruba con gli occhi.
Poi abbassa lo sguardo e fissa la sabbia.
Il respiro le si ferma. Allunga la mano nella sabbia e solleva una stella marina.
Il ricordo di una promessa fatta a sé stessa che non ha più senso.
Perché trovarla proprio stamattina?
Chiude gli occhi e riprende a respirare.
Non ci è dato sapere tutto. Ci è dato “solo” di sperare. E di scegliere.
Tutta la nostra vita è costellata di scelte.
Qualcuno, prima di noi, decide con quale nome ci presenteremo alla vita e al mondo.
Da neonati scegliamo di attaccarci al seno della mamma per sopravvivere.
Da bambini scegliamo gli oggetti che più ci fanno divertire e giocare, e piangiamo, se non abbiamo proprio quelli.
A scuola scegliamo quale sia la nostra maestra preferita.
Nei momenti di gioco, scegliamo i compagni che più ci assomigliano per poter condividere ogni cosa.
Da ragazzi, scegliamo quale sia la confusione della mente e del cuore che più ci si addice.
A scuola scegliamo le nostre materie preferite, spesso scegliamo i compagni che più non ci assomigliano per poterci confrontare con la diversità.
Scegliamo di ascoltare i consigli degli adulti e poi di non seguirli.
Scegliamo di far parte di un gruppo anche se dentro di noi non ne siamo contenti, oppure scegliamo di rimanere noi stessi anche se abbiamo il mondo contro.
Scegliamo i vestiti che più s’intonano con il nostro aspetto, oppure scegliamo quelli che ci stanno orribilmente male ma che vanno di moda.
Scegliamo il profumo che più ci inebria, oppure quello che abbiamo visto tante volte in pubblicità.
Scegliamo la musica che più ci piace, oppure quella che ascoltano tutti i nostri amici.
Scegliamo i libri che ci aiutano a raccontarci e ad immaginarci il futuro, oppure quelli che sono sempre in vetrina e che lasciamo a metà.
Scegliamo la persona che più ci fa battere il cuore, oppure quella che è la sola che vorrebbe stare con noi, per non rimanere da soli.
Scegliamo la compagnia quando vogliamo non farci sentire e nasconderci.
Scegliamo la solitudine quando vogliamo urlare quello che siamo.
Scegliamo quale sia la nostra strada.
Da giovani, scegliamo di percorrerla.
Scegliamo di realizzare i sogni.
Scegliamo di continuare a studiare o lavorare.
Oppure scegliamo di perdere tempo.
Scegliamo le nostre passioni, oppure scegliamo di non riempire le ore vuote.
Scegliamo di cambiare il mondo, di lasciarlo così com’è o di rovinarlo.
Scegliamo d’impegnarci in qualcosa oppure lasciamo che tutto faccia il suo corso.
Scegliamo gli amici, quelli che riescono a farci vedere il mondo anche da un altro punto di vista.
Oppure scegliamo compagni complici, per paura di guardare oltre quello che siamo.
Scegliamo di vivere laddove siamo nati, oppure di cambiare città.
Scegliamo di credere in Dio oppure di non credere in niente.
Scegliamo di difendere i più deboli oppure di stare dalla parte dei più forti.
Scegliamo di guardare il cielo oppure di non alzare gli occhi da terra.
Scegliamo di voler bene a qualcuno oppure di chiuderci in noi stessi costruendoci assurde difese.
Scegliamo l’unica persona destinata a completare la nostra vita, oppure di rinunciare ad amare.
Scegliamo il coraggio, oppure la paura.
Scegliamo di rischiare, oppure scegliamo di arrenderci.
Scegliamo di illuderci per un gesto, una parola, un sorriso, oppure di guardare in faccia la realtà.
Scegliamo di non farci più del male, oppure scegliamo di mettere fine a ciò che ci distrugge.
Scegliamo di far finta di niente e continuare ad essere quelli di sempre, oppure scegliamo di mantenere le distanze.
Scegliamo di chiudere rapporti oppure di non volerli lasciare andare e tormentare giorno e notte chi ci ha detto “basta”.
Scegliamo di amare qualcuno che non ha bisogno di noi, perché non riusciamo a fare altro.
Scegliamo ciò che ci sembra giusto, oppure quello che è sbagliato ma che non ci fa tanto soffrire.
Scegliamo il tempo per riempire il tempo, oppure il vuoto per riempirlo di vuoto.
Scegliamo di vivere o di morire, o Qualcun altro lo sceglie per noi.
Scegliamo di dire che la vita è bella anche se difficile, oppure che la vita fa schifo perché siamo troppo egoisti.
Scegliamo di capire la sofferenza, oppure di scagliarci contro tutto e tutti perché “noi non la meritiamo”.
Scegliamo di credere nel destino e quando va storto, di mandarlo a quel paese.
Scegliamo di essere forti quando siamo deboli, oppure di essere deboli per trovare la forza.
Scegliamo di dire la verità, oppure di scriverla in una bugia.
Scegliamo di conservare i ricordi, oppure di dimenticare il passato.
Scegliamo di perdonare, oppure di provare rancore.
Scegliamo di sederci in prima fila, oppure di lasciare il posto a qualcun altro.
Scegliamo di amare il mare o la montagna, le rose bianche o le rose rosse, le fragole o le ciliegie, il cioccolato al latte o quello fondente.
Scegliamo di guidare la macchina o andare in bicicletta, di passeggiare per le strade o di affacciarci alla finestra.
Scegliamo di capire oppure fare finta di niente.
Scegliamo di domandare oppure di accontentarci delle prime risposte date.
Scegliamo di accendere la luce per vedere nel buio, oppure di abbassare le tende anche quando il sole è alto.
Scegliamo di volere tutto per goderci la vita, oppure di volere la vita per poter apprezzare tutto.
Da adulti, scegliamo di formare una famiglia oppure di vivere da soli.
Scegliamo di viaggiare da un capo all’altro del mondo, oppure di costruirci una stabilità.
Scegliamo il lavoro per cui siamo fatti, oppure quello che ci è capitato al momento.
Scegliamo di fare dei figli e di amarli per come sono, scegliamo di non farli per non riempirci la vita di altre responsabilità, oppure scegliamo di metterli al mondo per capire noi stessi.
Scegliamo di essere fedeli alla persona a cui abbiamo giurato amore eterno, oppure di far crollare le promesse.
Scegliamo di essere soddisfatti della nostra vita, oppure di rimpiangere ogni secondo passato.
Scegliamo di fermarci e ricominciare, oppure di lasciarci andare ed accettare quello che viene.
Scegliamo di tornare a casa stanchi ma felici, oppure stanchi con la voglia di chiuderci in camera da soli.
Scegliamo di passare le nostre serate davanti la TV, oppure di inventarci ogni momento insieme alle persone care.
Scegliamo di non dimenticarci degli amici, oppure di fare finta di essere soli.
Da anziani, scegliamo di fare i conti con il nostro passato oppure dimenticarci di quello che siamo stati.
Scegliamo quello che gli altri scelgono per noi, oppure quello che noi vogliamo.
Scegliamo di viziare i nipoti, oppure di non volerli vedere crescere.
Scegliamo di rimpiangere il tempo passato, oppure di inventarci il nuovo presente.
Scegliamo di continuare a credere in Dio, oppure di ribellarci perché non ci ha dato quello che volevamo.
Scegliamo di imparare a credere in Lui, oppure di continuare a credere che non ci sia niente oltre il mondo.
Scegliamo di lamentarci ogni secondo, oppure di reagire anche alle sofferenze più grandi.
Scegliamo di stringere fra le mani una stella marina, oppure di ributtarla in mare.
Il sole è ormai alto. Allegra si alza e decide di tornare a casa.
Guarda il mare e si ricorda di una favola scritta poco più di un mese fa.
La favola in cui una principessa salva il suo principe grazie ad una stella marina.
Respira e si morde il labbro.
Guarda la stella marina e la ributta in mare, più lontano che può.
Se la storia della nostra vita iniziasse sempre con un “c’era una volta…”, avremmo quasi sempre la certezza che qualcuno venga a salvarci.
Ma non sempre è così.
Siamo stati scelti per poter scegliere, ed ognuno sceglie la vita che più gli basta.
Allegra ricomincia a correre.
E’ ora di andare.
Peccato che i tuoi vicini non siano del tuo stesso parere.
Ore 00:00. Decidi di andare a letto dopo una giornata pesante.
I vicini sono in giardino. E parlano. Anzi, litigano.
Per la precisione, due fratelli abbastanza stagionati, 42 anni lui e 37 anni lei, non smettono di dirsene di tutti i colori per una parola di troppo detta da lei nel bel mezzo di un litigio tra lui e la moglie di lui.
Tra moglie e marito non mettere il dito. Se lei lo avesse fatto, loro si sarebbero risparmiati la litigata e io avrei cercato di dormire (d’accordo, forse no, però almeno ci avrei provato).
Ore 01:00. Il litigio continua a toni molto alti.
Lui: immediatamente te ne devi andare da casa mia.
Lei: apri il cancello che me ne vado pensi non abbia il coraggio.
Moglie di lui: ma finiamola che è tardi, domani mattina ne riparliamo con calma.
Allegra fissa il soffitto sospirando.
Ore 01:30. Il litigio continua.
Lei: stai facendo di tutto per andare in guerra, in pace non ci sai stare.
Lui: perché tu che stai facendo? Peggio peggio.
Buon sangue non mente. Si vede che sono fratelli.
Allegra accende la lucina, si siede in mezzo al letto e si prende le ginocchia tra le braccia.
Poi prende un foglio ed una penna e decide di scrivere la solita lettera che non spedirà mai.
Non sa neanche perché la scrive, ma non ci è dato sapere tutto.
Ore 02:00. Il litigio continua, ma Allegra non lo sente quasi più.
Scrive parole che forse non hanno senso, parole che leggerà solo lei e che respireranno il vuoto di un cassetto.
Poi si addormenta, non sa come.
Ore 06:45. Il sole filtra tra le persiane.
“ Ciao Maria.Tutto bene siamo arrivati proprio adesso”.
Allegra apre gli occhi e li richiude subito dopo.
Oh no! Sono arrivati gli altri vicini.
“Sì il viaggio è andato bene, solo che ho sempre questo mal di stomaco che non mi da pace”.
Ma che bisogno hai di urlare alle 7 mattina del primo di agosto???
Allegra si gira e si rigira.
“Sì ora ci sistemiamo…ma perché non venite a trovarci così chiacchieriamo un po’?”.
Allegra spalanca gli occhi e si alza dal letto.
Decide di infilarsi la sua tuta corta e anticipare di 12 ore la sua corsetta quotidiana.
Esce e si rifugia sulla spiaggia quasi deserta.
Corre, corre, corre. Guarda il mare e corre.
Non c’è il vecchietto che pesca tutte le sere e che le chiede sempre com’è andata la giornata.
Peccato, avrebbe avuto voglia di parlare con lui.
Corre, corre, corre. Poi si ferma.
Respira e butta via i cattivi pensieri.
Si siede poco più in là della riva e guarda il mare.
Da bambina voleva riuscire ad acchiappare quel luccichio, ma tutti le dicevano che era impossibile.
Ora lo guarda e lo ruba con gli occhi.
Poi abbassa lo sguardo e fissa la sabbia.
Il respiro le si ferma. Allunga la mano nella sabbia e solleva una stella marina.
Il ricordo di una promessa fatta a sé stessa che non ha più senso.
Perché trovarla proprio stamattina?
Chiude gli occhi e riprende a respirare.
Non ci è dato sapere tutto. Ci è dato “solo” di sperare. E di scegliere.
Tutta la nostra vita è costellata di scelte.
Qualcuno, prima di noi, decide con quale nome ci presenteremo alla vita e al mondo.
Da neonati scegliamo di attaccarci al seno della mamma per sopravvivere.
Da bambini scegliamo gli oggetti che più ci fanno divertire e giocare, e piangiamo, se non abbiamo proprio quelli.
A scuola scegliamo quale sia la nostra maestra preferita.
Nei momenti di gioco, scegliamo i compagni che più ci assomigliano per poter condividere ogni cosa.
Da ragazzi, scegliamo quale sia la confusione della mente e del cuore che più ci si addice.
A scuola scegliamo le nostre materie preferite, spesso scegliamo i compagni che più non ci assomigliano per poterci confrontare con la diversità.
Scegliamo di ascoltare i consigli degli adulti e poi di non seguirli.
Scegliamo di far parte di un gruppo anche se dentro di noi non ne siamo contenti, oppure scegliamo di rimanere noi stessi anche se abbiamo il mondo contro.
Scegliamo i vestiti che più s’intonano con il nostro aspetto, oppure scegliamo quelli che ci stanno orribilmente male ma che vanno di moda.
Scegliamo il profumo che più ci inebria, oppure quello che abbiamo visto tante volte in pubblicità.
Scegliamo la musica che più ci piace, oppure quella che ascoltano tutti i nostri amici.
Scegliamo i libri che ci aiutano a raccontarci e ad immaginarci il futuro, oppure quelli che sono sempre in vetrina e che lasciamo a metà.
Scegliamo la persona che più ci fa battere il cuore, oppure quella che è la sola che vorrebbe stare con noi, per non rimanere da soli.
Scegliamo la compagnia quando vogliamo non farci sentire e nasconderci.
Scegliamo la solitudine quando vogliamo urlare quello che siamo.
Scegliamo quale sia la nostra strada.
Da giovani, scegliamo di percorrerla.
Scegliamo di realizzare i sogni.
Scegliamo di continuare a studiare o lavorare.
Oppure scegliamo di perdere tempo.
Scegliamo le nostre passioni, oppure scegliamo di non riempire le ore vuote.
Scegliamo di cambiare il mondo, di lasciarlo così com’è o di rovinarlo.
Scegliamo d’impegnarci in qualcosa oppure lasciamo che tutto faccia il suo corso.
Scegliamo gli amici, quelli che riescono a farci vedere il mondo anche da un altro punto di vista.
Oppure scegliamo compagni complici, per paura di guardare oltre quello che siamo.
Scegliamo di vivere laddove siamo nati, oppure di cambiare città.
Scegliamo di credere in Dio oppure di non credere in niente.
Scegliamo di difendere i più deboli oppure di stare dalla parte dei più forti.
Scegliamo di guardare il cielo oppure di non alzare gli occhi da terra.
Scegliamo di voler bene a qualcuno oppure di chiuderci in noi stessi costruendoci assurde difese.
Scegliamo l’unica persona destinata a completare la nostra vita, oppure di rinunciare ad amare.
Scegliamo il coraggio, oppure la paura.
Scegliamo di rischiare, oppure scegliamo di arrenderci.
Scegliamo di illuderci per un gesto, una parola, un sorriso, oppure di guardare in faccia la realtà.
Scegliamo di non farci più del male, oppure scegliamo di mettere fine a ciò che ci distrugge.
Scegliamo di far finta di niente e continuare ad essere quelli di sempre, oppure scegliamo di mantenere le distanze.
Scegliamo di chiudere rapporti oppure di non volerli lasciare andare e tormentare giorno e notte chi ci ha detto “basta”.
Scegliamo di amare qualcuno che non ha bisogno di noi, perché non riusciamo a fare altro.
Scegliamo ciò che ci sembra giusto, oppure quello che è sbagliato ma che non ci fa tanto soffrire.
Scegliamo il tempo per riempire il tempo, oppure il vuoto per riempirlo di vuoto.
Scegliamo di vivere o di morire, o Qualcun altro lo sceglie per noi.
Scegliamo di dire che la vita è bella anche se difficile, oppure che la vita fa schifo perché siamo troppo egoisti.
Scegliamo di capire la sofferenza, oppure di scagliarci contro tutto e tutti perché “noi non la meritiamo”.
Scegliamo di credere nel destino e quando va storto, di mandarlo a quel paese.
Scegliamo di essere forti quando siamo deboli, oppure di essere deboli per trovare la forza.
Scegliamo di dire la verità, oppure di scriverla in una bugia.
Scegliamo di conservare i ricordi, oppure di dimenticare il passato.
Scegliamo di perdonare, oppure di provare rancore.
Scegliamo di sederci in prima fila, oppure di lasciare il posto a qualcun altro.
Scegliamo di amare il mare o la montagna, le rose bianche o le rose rosse, le fragole o le ciliegie, il cioccolato al latte o quello fondente.
Scegliamo di guidare la macchina o andare in bicicletta, di passeggiare per le strade o di affacciarci alla finestra.
Scegliamo di capire oppure fare finta di niente.
Scegliamo di domandare oppure di accontentarci delle prime risposte date.
Scegliamo di accendere la luce per vedere nel buio, oppure di abbassare le tende anche quando il sole è alto.
Scegliamo di volere tutto per goderci la vita, oppure di volere la vita per poter apprezzare tutto.
Da adulti, scegliamo di formare una famiglia oppure di vivere da soli.
Scegliamo di viaggiare da un capo all’altro del mondo, oppure di costruirci una stabilità.
Scegliamo il lavoro per cui siamo fatti, oppure quello che ci è capitato al momento.
Scegliamo di fare dei figli e di amarli per come sono, scegliamo di non farli per non riempirci la vita di altre responsabilità, oppure scegliamo di metterli al mondo per capire noi stessi.
Scegliamo di essere fedeli alla persona a cui abbiamo giurato amore eterno, oppure di far crollare le promesse.
Scegliamo di essere soddisfatti della nostra vita, oppure di rimpiangere ogni secondo passato.
Scegliamo di fermarci e ricominciare, oppure di lasciarci andare ed accettare quello che viene.
Scegliamo di tornare a casa stanchi ma felici, oppure stanchi con la voglia di chiuderci in camera da soli.
Scegliamo di passare le nostre serate davanti la TV, oppure di inventarci ogni momento insieme alle persone care.
Scegliamo di non dimenticarci degli amici, oppure di fare finta di essere soli.
Da anziani, scegliamo di fare i conti con il nostro passato oppure dimenticarci di quello che siamo stati.
Scegliamo quello che gli altri scelgono per noi, oppure quello che noi vogliamo.
Scegliamo di viziare i nipoti, oppure di non volerli vedere crescere.
Scegliamo di rimpiangere il tempo passato, oppure di inventarci il nuovo presente.
Scegliamo di continuare a credere in Dio, oppure di ribellarci perché non ci ha dato quello che volevamo.
Scegliamo di imparare a credere in Lui, oppure di continuare a credere che non ci sia niente oltre il mondo.
Scegliamo di lamentarci ogni secondo, oppure di reagire anche alle sofferenze più grandi.
Scegliamo di stringere fra le mani una stella marina, oppure di ributtarla in mare.
Il sole è ormai alto. Allegra si alza e decide di tornare a casa.
Guarda il mare e si ricorda di una favola scritta poco più di un mese fa.
La favola in cui una principessa salva il suo principe grazie ad una stella marina.
Respira e si morde il labbro.
Guarda la stella marina e la ributta in mare, più lontano che può.
Se la storia della nostra vita iniziasse sempre con un “c’era una volta…”, avremmo quasi sempre la certezza che qualcuno venga a salvarci.
Ma non sempre è così.
Siamo stati scelti per poter scegliere, ed ognuno sceglie la vita che più gli basta.
Allegra ricomincia a correre.
E’ ora di andare.
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