Prendi una giornata qualunque, in un mese qualunque, in una stagione qualunque.
Due fanciulli, una promessa e il bel Danubio blu.
Poi una caduta nelle acque del fiume, un fiore rimasto tra le mani…e cinque parole: non ti scordar di me.
La leggenda narra che sia nato così il nome del delicato fiore azzurro.
A volte basta un odore per riportare al cuore momenti ed esperienze vissuti, persone incontrate, tappe della nostra esistenza attraversate.
Ricordi, ai quali spesso è legato un “nontiscordardime”.
Un uomo che parte su un treno in corsa, una mamma o un papà che attende lo squillo di un telefono, una fotografia riposta sotto linguetta di un portafogli, un amico che scrive ad un amico che non sente da anni, uno spartito aperto sul leggio di un pianoforte, un figlio trascurato e mai davvero riconosciuto, un sms mai cancellato, un bambino in strada che ti segue con lo sguardo fino all’angolo della via, una lettera nascosta in un cassetto, un insegnante che continua ad interrogarti anche quando la campanella è suonata da un pezzo e ti accorgi che quella sulla vita è l’interrogazione più difficile, un libro lasciato sul sedile di un treno, un uomo su un letto di ospedale che stringe la mano ad un camice bianco, una cartolina appesa ad un frigorifero, un fratello che ha in tasca un biglietto di sola andata, una donna piena di lividi che racconta la sua storia ad un cuore amico, un vestito conservato in un baule.
Dio, in ogni frammento della nostra giornata.
La vita di ognuno è cosparsa di nontiscordardime.
Ricordare significa letteralmente “riportare al cuore”.
E’ lì che pulsa il nostro bisogno profondo di non voler essere dimenticati e spesso, di non dimenticare.
I ricordi hanno il sapore di scatole vecchie conservate dietro le pareti di casa, colme di tutti quei frammenti, materiali o immateriali, che hanno rivestito i giorni vissuti della nostra vita.
Pagine di un libro non ancora finito come testamento di una volontà di esserci oltre ogni luogo comune.
Non ti scordar di me.
Non è solo il nome di un fiore…e neanche solo il titolo di una canzone.
E’ il fiato che ogni giorno regaliamo e riceviamo a tutto e da tutto quello che circonda la nostra esistenza: persone, attività, professioni, divertimento, passioni. Dio.
Ti voglio bene, ma nontiscordardime.
Ce la metto tutta, ma nontiscordardime.
Vorrei che questo istante non finisse mai, ma nontiscordardime.
Chiudo gli occhi e accetto, ma nontiscordardime.
Apro gli occhi e ci riprovo, ma nontiscordardime.
I visi degli sconosciuti incontrati su un treno o su un aereo, sono quelli che tendiamo a dimenticare facilmente.
Ma spesso, sono proprio quei visi che ci ricordano altri visi, che a loro volta ci ricordano gesti, momenti, sorrisi, attimi vissuti.
E molte volte, sono questi ricordi che sussurrano al cuore un “nontiscordardime”.
Erri De Luca nel suo “Il peso della farfalla” (Feltrinelli), scrive che “l’uomo non sa vivere nel presente”.
Perché?
Forse perché è ancorato al passato o troppo proiettato nel futuro?
O forse perché non sa ricordare chi era, dimenticando di sussurrare a se stesso un “nontiscordardime”?
“Ricordare significa imparare a conoscersi di più” (Demetrio, 2008). E anche a saper crescere, in tutti i modi, che è il compito più difficile al mondo.
Ma bisogna provarci.
E tu? A chi vuoi sussurrare un “nontiscordardime”?
Due fanciulli, una promessa e il bel Danubio blu.
Poi una caduta nelle acque del fiume, un fiore rimasto tra le mani…e cinque parole: non ti scordar di me.
La leggenda narra che sia nato così il nome del delicato fiore azzurro.
A volte basta un odore per riportare al cuore momenti ed esperienze vissuti, persone incontrate, tappe della nostra esistenza attraversate.
Ricordi, ai quali spesso è legato un “nontiscordardime”.
Un uomo che parte su un treno in corsa, una mamma o un papà che attende lo squillo di un telefono, una fotografia riposta sotto linguetta di un portafogli, un amico che scrive ad un amico che non sente da anni, uno spartito aperto sul leggio di un pianoforte, un figlio trascurato e mai davvero riconosciuto, un sms mai cancellato, un bambino in strada che ti segue con lo sguardo fino all’angolo della via, una lettera nascosta in un cassetto, un insegnante che continua ad interrogarti anche quando la campanella è suonata da un pezzo e ti accorgi che quella sulla vita è l’interrogazione più difficile, un libro lasciato sul sedile di un treno, un uomo su un letto di ospedale che stringe la mano ad un camice bianco, una cartolina appesa ad un frigorifero, un fratello che ha in tasca un biglietto di sola andata, una donna piena di lividi che racconta la sua storia ad un cuore amico, un vestito conservato in un baule.
Dio, in ogni frammento della nostra giornata.
La vita di ognuno è cosparsa di nontiscordardime.
Ricordare significa letteralmente “riportare al cuore”.
E’ lì che pulsa il nostro bisogno profondo di non voler essere dimenticati e spesso, di non dimenticare.
I ricordi hanno il sapore di scatole vecchie conservate dietro le pareti di casa, colme di tutti quei frammenti, materiali o immateriali, che hanno rivestito i giorni vissuti della nostra vita.
Pagine di un libro non ancora finito come testamento di una volontà di esserci oltre ogni luogo comune.
Non ti scordar di me.
Non è solo il nome di un fiore…e neanche solo il titolo di una canzone.
E’ il fiato che ogni giorno regaliamo e riceviamo a tutto e da tutto quello che circonda la nostra esistenza: persone, attività, professioni, divertimento, passioni. Dio.
Ti voglio bene, ma nontiscordardime.
Ce la metto tutta, ma nontiscordardime.
Vorrei che questo istante non finisse mai, ma nontiscordardime.
Chiudo gli occhi e accetto, ma nontiscordardime.
Apro gli occhi e ci riprovo, ma nontiscordardime.
I visi degli sconosciuti incontrati su un treno o su un aereo, sono quelli che tendiamo a dimenticare facilmente.
Ma spesso, sono proprio quei visi che ci ricordano altri visi, che a loro volta ci ricordano gesti, momenti, sorrisi, attimi vissuti.
E molte volte, sono questi ricordi che sussurrano al cuore un “nontiscordardime”.
Erri De Luca nel suo “Il peso della farfalla” (Feltrinelli), scrive che “l’uomo non sa vivere nel presente”.
Perché?
Forse perché è ancorato al passato o troppo proiettato nel futuro?
O forse perché non sa ricordare chi era, dimenticando di sussurrare a se stesso un “nontiscordardime”?
“Ricordare significa imparare a conoscersi di più” (Demetrio, 2008). E anche a saper crescere, in tutti i modi, che è il compito più difficile al mondo.
Ma bisogna provarci.
E tu? A chi vuoi sussurrare un “nontiscordardime”?
15 commenti:
Ma che meraviglia di racconto!
Sulla domanda...forse al mio fidanzato...;)
Molto bello e riflessivo...vorrei dirlo a chiunque, forse al mondo intero.
In fondo, ogni gesto che facciamo, piccolo o grande, resta nel mondo.
Ed è quello un segno del "nontiscordardime".
Ora mi hai fatto venire in mente la canzone della Ferreri e non me la tolgo più dalla testa: non ti scordar mai di me di ogni mia abitudine in fondo siamo stati insieme...e non è un piccolo particolare.
Credo che il nontiscordardime sia quasi sempre legato ad una storia d'amore, anche quando finisce. L'aver lasciato qualcosa a quella persona è il senso di una storia vissuta, nel bene o nel male.
Brava comunque...molto bello, come sempre.
E meno che ha detto che nontiscordardime non è solo il titolo di una canzone!!!
Bello Allegra...mi chiedo che testolina hai comunque!
A Dio...
A chi amo. Bello questo scritto Allegra. Bello davvero.
Posso dirlo a te?
E tu a chi lo vuoi sussurrare?
E se invece per crescere avessimo bisogno di dimenticare?
Lorenza: :)
Anonimo: concordo sul fatto che ogni gesto che facciamo, piccolo o grande, resta.
Giulio: bella la parte del tuo commento sulle storie d'amore!
SerenoPocoNuvoloso: però la canzone è carina...;)
Anonimo e Federico: bello!
Anonimo 1:13: vedi commento di Federico.
LettoreRitrovato: dipende...se vuoi spiegati meglio.
Ok. Se succede qualcosa che ci fa stare molto male, da un'amicizia che ci ha deluso ad un amore finito male oppure ad un dramma che abbiamo vissuto. Se ricordiamo tutto il male come facciamo a crescere, in tutti i sensi come dici tu e dici bene, se abbiamo sempre questo male dentro?
Per questo credo che a volte sia meglio dimenticare, persone, fatti e anche buttare via qualche oggetto.Aspetto una tua risposta, m'interessa.
Sì, però il dimenticare non è un compito che ci possiamo imporre come se fossimo delle macchine, a maggior ragione quando si tratta di eventi difficili o di persone importanti. Siamo esseri umani.
Buttare un oggetto, sì, potrebbe servire...ma forse a creare l'illusione di dimenticare.
Ricordare superando ciò che è successo, invece, ci fa crescere.
Ricordare elaborando i ricordi, comprendendoli (prenderli con noi) nel vero senso della parola: prenderli con noi come parte di una vita che va avanti, se li separiamo da noi resteranno sempre divisi e con l'illusione di essere lontani, magari anche diversi da come li avevamo lasciati e per questo, faranno ancora più paura.
Spesso è ciò che è diverso e lontano da noi a farci più paura.
A proposito di buttare oggetti ti consiglio di leggere il racconto n.45 dei "Sessanta racconti di Buzzati", si chiama "Le precauzioni inutili".
Spero di aver dato un senso alle tue domande.
Da oggi diventi la mia biblioteca personale, non c'è un post o un commento in cui non citi un libro un racconto o una frase di un libro.
Vorrei amare i libri come fai tu guarda! Comunque grazie per questo post e per le tue parole, sempre profonde che fanno riflettere.
Sei un'anima rara...almeno da quello che esce da questo blog perchè non ti conosco di persona.
Continua così...continua così...
Mauro
Ho letto il racconto. Molto bello.
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Si lo hai dato un senso, il problema è che è difficile anche fare quello che tu scrivi, ma mi rendo conto che qui siamo in un blog.
Il tempo è forse un metodo?
Grazie come sempre per la tua disponibilità a mettere in gioco quello che pensi.
Mauro: benvenuto. Per me i libri sono sacri, non ne posso fare a meno.
LettoreRitrovato: il tempo è uno dei metodi, accompagnato da qualcos'altro. Ma qui siamo in un blog, come hai scritto anche tu. Comunque...grazie a te!
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