“Al mio amico Daniel, che mi ha restituito la voce e la penna. E a Beatriz, che ha ridato a entrambi la vita.”
Quando ti accorgi di essere arrivato alla fine di una storia, sai già che, il giorno dopo, qualcosa ti mancherà.
Terminare un libro come “L’ombra del vento” quasi alla mezzanotte, quando tutto intorno a te è silenzio perché la giornata è finita e fra poche ore sta per iniziarne un’altra, forse uguale, forse più noiosa o forse più pericolosa, ti spinge a non voler mollare quelle pagine e a stringerle sul petto per non farle andare via, anche se poi sei costretto a rimettere quel romanzo sullo scaffale.
Se un libro è capace di fare tutto questo, significa che ha compiuto la sua magia.
Credo che il mondo si divida in due categorie di scrittori: quelli che raccontano il falso e quelli che narrano la verità.
Poi ci sono anche quelli che copiano, ma questa è un’altra storia.
Chi racconta il falso si ostina a vivere in un mondo ignoto, facendo finta che non ci sia il dolore, mascherando tutto quello che esiste in una vigliacca bugia.
Chi narra la verità, invece, si sorprende di quanta bellezza ci sia nel creare personaggi che si rivelano, nudi e crudi, nei loro errori e nella loro follia, nelle loro mancanze e nelle loro oscurità, nelle loro domande e nelle loro perverse avventure.
Chi non ha mai desiderato amare con la prepotenza di Juliàn Carax?
E chi non ha mai ardito essere amata come la bella Penèlope?
Chi non ha mai incontrato nella sua vita, l’invidia personificata nel nostro peggior nemico?
E chi non ha mai avuto, nelle sue notti insonni, un amico su cui poter sempre contare?
“Il mondo non è un posto comodo”, mi disse un giorno una persona cara.
Soprattutto quando ti sforzi di andare incontro agli altri e poi ti accorgi che gli altri non hanno voglia di venire incontro a te.
E allora sì che le parole diventano carceri dentro le quali proteggerti o evadere da tutto ciò che ti opprime e, come Juliàn Carax, sprecare ogni giorno della vita a bruciare gli errori che hanno commesso gli altri, credendo di averli compiuti in prima persona.
Il senso di colpa è un male schivo e prepotente, che si rintana nell’anima e si accumula come polvere stantìa, facendoti diventare cieco di tutto ciò che potresti ancora vedere ma che non scorgi neanche.
Sarebbe troppo banale raccontare la storia di questo libro: non rende la meraviglia se non lo si legge.
Ma c’è un passo, nelle ultime pagine, capace di comprendere, nel vero significato della parola, tutto l’universo dei sentimenti dell’uomo.
“Se leggerai queste mie memorie, che sono un carcere di ricordi,vorrà dire che non potrò accommiatarmi da te come avrei voluto né supplicarti di perdonare tutti noi, soprattutto Juliàn, e di vegliare su di lui. Non ho il diritto di chiederti niente, se non di pensare a salvarti. Forse tutte queste pagine sono riuscite a convincermi che, qualsiasi cosa accada, in te avrò sempre un amico, la mia sola vera speranza. Nei libri di Juliàn c’è un’idea che ho sempre sentito mia: continuiamo a vivere nel ricordo di chi ci ama. Come mi accadde con Juliàn ancora prima di incontrarlo, sento di conoscerti e di potermi fidare di te. Ricordami, Daniel, anche se in segreto, in un angolo del tuo cuore. Non permettere che me ne vada per sempre.”
I ricordi, il perdono, la volontà, l’amore, l’incertezza, la fiducia, la vendetta, la speranza, la rabbia, gli errori dei genitori che amano male non accorgendosi di pensare ai loro bisogni e non a quelli dei figli, l’ardore di un amore tanto violento quanto necessario, il dolore e la misericordia.
C’è tutto, tutta la meraviglia della vita stessa, di tutto quello che si respira nella sua essenza.
Quella “meraviglia” che ci insegna che la verità delle cose non sta nel buonismo e nell’ostinazione a credere che in ogni caso tutto andrà bene, come i principi e le principesse che vivono per sempre felici e contenti.
La verità delle cose sta nelle rovine che tutti scansano e nessuno vuole edificare, quelle rovine che sono l’unica strada per rendere vera una vita e indimenticabile una storia.
“Indossava un abito color avorio e nel suo sguardo c’era tutto il mondo. Ricordo appena le parole del sacerdote e i volti commossi degli invitati che quel mattino di marzo affollavano la chiesa. Rammento solo le nostre labbra che si sfioravano e il giuramento segreto che feci a me stesso e che avrei rispettato ogni giorno della mia vita.”